giovedì 24 dicembre 2009

20 dicembre 2009. ciaspolando sui colli euganei

Incredibile nevicata di dicembre in pianura padana:almeno venti centimetri di neve e un freddo gelido di quelli che raccontano i nonni.
Città di Padova e trasporti nel caos per le strade ghiacciate, la provincia decreta calamità naturale, i supermercati hanno finito le scorte di sale grosso e i commercianti si lamentano perchè in quest'anno di crisi mancava solo la neve a tener lontana la gente dallo shopping natalizio.
Gli uncici che trovano un lato positivo nella cosa sono i bambini che per una domenica saranno esonerati dalla televisione e dal nintendo e potranno fare invece pupazzi di neve in giardino e sbaloccarsi.
Scattiamo le foto dall'alto della città che sembra davvero un'altra e ci viene un'idea: perchè non andare a provare le ciaspole nuove sui colli Euganei ? Di neve ce n'è e freddo pure. Godiamoceli.

Domenica, aspettando gli amici in auto nel parcheggio di un negozio, qualche dubbio sulla bontà dell' idea mi viene, fa davvero freddo e non c'è nemmeno tanto sole, ma il mio spirito d'avventura ha sempre la meglio sulla mio buon senso e così, appena arrivano gli altri, propongo di caricarci corpo e spirito con una colazione in pasticceria. Ci fermiano a Bresseo poco dopo il centro, pastecceria stile francese dove degustiamo degli ottimi croassaints e dove decidiamo anche la nostra meta, MonteRosso il più vicino dei Colli Euganei, perchè le amministrazioni comunali non hanno fatto un gran lavoro di pulizia sulle strade ed è meglio non rischiare con il ghiaccio.
Il percorso del circuito di Monterosso è una semplice passaggiata a piedi. Il dislivello è di 150 metri e in un paio d'ore si fa. Il paesaggio è davvero insolito per essere sui Colli Euganei. La strada sterrata che percorriamo è completamente ghiacciata e bisogna stare attenti a non scivolare. Incrociamo un corridore nel senso opposto (c'è qualcuno più pazzo di noi). Ad un certo punto imbocchiamo un sentiero in salita e mettiamo le ciaspole, tranne Alberto che vuole mettere alla prova i suoi fighissimi scarponi invernali. La passeggiata è divertente, ma fa freddo, tanto freddo soprattutto ai piedi che mi si sono completamente congelati e fanno malissimo. Sono arrabbiata con il mio fisico che non tollera il freddo e che in queste situazioni soccombe.
In cima a MonteRosso facciamo una foto di gruppo ( i soliti dieci minuti per posizionare la macchinetta in modo che con l'autoscatto veniamo fuori tutti). Scendiamo dall'altre parte dove sul sentiero troviamo prima un pettirosso che non sembra per nulla a disagio con la neve e poi una televisione che qualcuno ha abbandonato. Foto, a ricordo dell'inciviltà.
Il sentiero si ricongiunge alla strada sterrata dove togliamo le ciaspole e pattiniamo sul ghiaccio fino all'auto.

Ottimo pranzo a casa della Marina per concludere in bellezza la giornata.


martedì 8 dicembre 2009

6 Dicembre - Arco, Placche di Baone

Dopo quasi due mesi di incertezza, mercoledì 2 dicembre ho comprato la corda. Ederlid 70 metri, 9,8 mm. Bellissima.
Bisognava andarla a provare e quale posto migliore di Arco, patria dell'arrampicata sportiva?
Dicembre non è il mese più adatto per arrampicare all'aperto, ma spostandosi nella valle del Sarca si può trovare ancora un clima che seppur invernale è mitigato dall'influenza del lago. Il meteo, in questo lungo finesettimana del ponte dell'immacolata non è dei migliori, ma domenica si poteva sperare in qualche sprazzo di sole.
Partenza ore 8 da Padova, siamo solo noi due, io e Tabarez. Direzione Arco, Placche di Baone.
Una volta parcheggiata l'auto, attraversiamo a piedi il paese di Chiarano, poco dopo Arco, e seguiamo le indicazioni per la falesia di Baone che ci portano in salita per una stradina sterrata che attraversa un uliveto bellissimo dove incontriamo dei contadini che stanno raccogliendo le olive.


Arriviamo sotto le placche di Baone settore Ondulina. Dietro di noi, in basso il lago di Garda, in alto, oltre il lago, l'Altissimo di Nago imbiancato dalle neve. Sulla destra altre cime, quelle più alte innevate, le altre no. Ci deve essere anche Cima Capi dove siamo stati a maggio ma non riesco ad individuarla con precisione. Inizio a capire perchè più di qualcuno venendo dalla città si è innamorato di questo posto e si è trasferito qui.

In falesia ci sono altri ragazzi che stanno provando a salire delle vie. Conoscono bene il posto e ci danno molto gentilmente qualche indicazione utile. Ci mostrano un foglio fotocopiato da una guida che spiega le vie della falesia. Il mio foglietto scritto a penna è decisamente meno chiaro. Il settore è piuttosto vasto e cerchiamo di scegliere delle vie abbastanza facili. E' pur sempre la prima falesia che affrontiamo da soli e dobbiamo portarci su la corda.
Tabarez mi fa sicura e inizio a salire, decisa (?!). Qualche passo e poi ? Dove vado ? Rispetto alle numerate di Rocca Pendice la parete è più obliqua ma non ci sono praticamente prese per le mani. E' da fare in aderenza. Mi guardo le scarpette, come a dirgli che mi fido di loro e che mi devono tenere e conquisto lentamente il primo spit dove attacco un rinvio e prendo fiato. Gli spit non sono così vicini tra loro come in palestra, ci saranno anche quattro metri tra l'uno e l'altro. Ogni chiodo che raggiungo un gran respiro e finalmente arrivo alla sosta, moschettone a ghiera che si apre facilmente, passo la corda, "Blocca!", ce l'ho fatta. Scendo. Però, mica male. Ondulina 4a conquistata da primo. Una bella soddisfazione per una vecchietta come me. Fuori ci sono 8 gradi, e io ho un caldo tremendo.
Sale Tabarez e poi la riprovo da seconda. Così è più facile, o meglio c'è meno tensione.
Tiriamo giù la corda e ne proviamo un'altra "Cade la corda 3b". Proviamo tutti e due da primo. Tabarez, quasi arrivato in sosta, dopo l'ultimo rinvio, mette il piede su una placca bianca scivolosa e fa un metro in giù. Ma poi recupera. Tutto a posto.
Il sole oggi proprio non esce, inizia a fare freddo, ultimi giri e poi scendiamo. Per oggi è stata una grande emozione.
Di ritorno, ci fermiamo ad Arco dove da Red Point compriamo anche il Gri Gri. ( costava dieci euro in meno che a Padova). Una cioccolata calda e poi si torna a casa.
Bye Bye Arco. Speriamo che sia la prima di tante nuove avventure in parete.

lunedì 16 novembre 2009

La salamandra e il Santo

Un giorno, in tempi antichi, la salamandra incontrò il Santo eremita. Trascorrevano insieme molto tempo, meditando in grotta e abbeverandosi alla fonte. Nessuna parola tra loro due: la salamandra non ne sapeva, il Santo le parole le teneva dentro di sé e le rivolgeva altrove, rivolto al cielo.

Un giorno però il Santo si sentì male. La salamandra, preoccupata per il suo compagno, andò alla fonte a prendere dell'acqua per portarla a lui.

Ma quando questa ebbe fatto ritorno alla grotta dove l'aveva lasciato, con enorme stupore, non vi trovò il fedele amico. Vi trovò invece un'altra salamandra, un regalo del Santo, che prima di andarsene per sempre volle in questo modo ringraziare la sua amica per averlo accompagnato nel trascorrere delle ore.

Ancora oggi a Lumignano, tra grotte, boschi e sorgenti d'acqua, si incontrano molte salamandre.

Tra la pace dei boschi, guardano il passare delle stagioni e lo scorrere dell'acqua. Col tempo hanno imparato anche alcune parole: le rivolgono Altrove, come aveva insegnato loro San Cassiano.

Le foto della giornata.

domenica 25 ottobre 2009

Ottobre 2009 - Corso di Arrampicata Sportiva

Un tintinnio di ferraglia, una voce che nel silenzio di una valle alpina grida qualcosa , alzare lo sguardo e vedere dei piccoli punti colorati alla parete.

Gli alpinisti, gli scalatori, i freeclimbers che vedevo dal basso sono sempre stati per me qualcosa di simile ai supereroi, avvolti da un alone di fascino e mistero.

Da escursionista, ho sempre affrontato la montagna, nel modo più orizzontale possibile, con un piede ben fermo nel sentiero, di certo non avrei mai pensato di potermi trovare su una parete, attaccata ad una corda come loro. Ma un po' perchè nella vita non si sa ma mai cosa può succedere, un po' perchè è innato nel genere umano o forse solo alla specie di cui faccio parte, cercare di emulare i propri idoli e superare sempre i propri limiti, è successo che sabato 30 ottobre ho fatto lo spigolo del nasetto a Rocca Pendice. Sarà anche un via mono tiro e non l'avrò fatta da primo, ma a guardarla da sotto fatta da qualcun altro, sembra una salita più adatta all'uomo ragno che ad un comune mortale.

Arrampicare è estetica pura: un gioco di equilibrio e concentrazione mentale. Serve una buona dose di grinta e una perfetta consapevolezza del proprio corpo. In parete artificiale prevale la parte di gioco, su roccia si deve usare molto la testa, per leggere la parete e trovare la sequenza di piccoli passi che permettono di salire. Mentre sali, lo senti chiaramente se stai danzando con ritmo oppure se stai procedendo a caso. Non puoi mentire a te stesso.


Cose piacevoli dell'arrampicata: trovare con la mano una presa rassicurante che è dietro e non si vede, individuare un piccolo appoggio per i piedi, sentire le gambe che ti spingono sicure verso l'alto, appiattirsi contro la parete per stare in equilibrio e riposarsi un po', arrivare alla sosta e sentirsi wonder woman.

Cose meno piacevoli: sentire il peso della corda che stati cercando di infilare nel rinvio, farsi venire il dubbio sul nodo a otto quando stai per scendere, le scarpette che stringono.

Cose brutte : capire che sei quasi arrivato a rinviare e stai per cadere, sentirsi tirare in alto con forza quando fai sicura.

Un ringraziamento particolare ad Andrea, l'istruttore di arrampicata sportiva per aver detto che non sono troppo vecchia per cominciare, a Marco, la guida alpina, per avermi incoraggiato a continuare e infine a Glauco per aver seguito la sottoscritta in questa ennesima iniziativa.

domenica 4 ottobre 2009

20 SETTEMBRE 2009 - FERRATA VIALI A CIMA GRAMOLON

Alla partenza ci ritroviamo in sei: Michele, Chiara, Vale, Marco, Cate ed io.
Si aggiungono Barbara e Ciro, di altra scuola cai, amici di Michele e Chiara.

Michele è partito con l'idea di provare la ferrata Viali per valutare se proporla come gita sociale il prossimo anno.
Chiara e Barbara sono partite con l'intenzione di fare una tranquilla passeggiata.
Io, da persona molto indecisa, mi sono portata appresso l'attrezzatura e ho valutato sul posto.

Al rifugio Bertagnoli abbiamo formato i due gruppi:
Chiara e Barbara hanno deciso di portare avanti la loro scelta e raggiungere Cima Gramolon per il comodo sentiero ad anello, tutti gli altri, me compresa, hanno optato per provare la ferrata.

Tanta è la voglia di fare la ferrata che arriviamo in cima senza averne visto l'attacco.
Dopo rapido consulto di mappe e persone di passaggio decidiamo di tornare indietro.

L'attacco della ferrata è in un canalone, a pochi minuti di cammino dal rifugio Bertagnoli (sentiero 221).
Indossiamo imbrago e attrezzatura e dopo rapido controllo a vicenda partiamo.
Ciro attacca per primo seguito a ruota da Michele .... e ... mi ritrovo a chiudere per la prima volta.
Il primo brivido ha le sembianze di una scala lunga, contorta, che sembra spalmata sulla roccia, e dal bellissimo color ruggine.
Qualcuno di quelli che precedono ha il sospetto che sbricioli sotto il suo peso altri la sentono muoversi .... i presupposti sono ottimi direi!
La affrontiamo uno alla volta non sostandovi troppo.
Tocca a me; ho le gambe che tremano come foglie; il tempo che impiego per percorrerla sembra interminabile ma, alla fine, arrivo in cima.

Tra passaggi un po' “tecnici” ed altri un po' “noiosi” la ferrata prosegue sempre all'interno di un canalone.
C'è più di un punto in cui non si può far altro che far forza sulle braccia.
Vola qualcosa ... è la digitale di Vale....
Pazienza! Ci accontenteremo delle foto di Michele.
Cerco di arrampicare e mi attacco ad un bel spuntone di roccia ma, ahimè, mi rimane in mano!
Per un attimo penso di tornare indietro ma, alla fine, decido di proseguire.
Non ci facciamo mancare proprio nulla: Michele attrezza un punto "lungo" con una bellissima lounge "al kevlar" che qualcuno impiegherà un po' a recuperare.
E arriviamo al gran finale!
Una lunga e comoda scaletta ci attende.
La affrontiamo uno alla volta mentre gli altri si proteggono da una grigia “grandinata”.

Sono in cima, son tutti spariti, mi ritrovo circondata da pini mughi e vari accenni di sentieri; mi volto, vedo dall'alto il rifugio Bertagnoli ma anche tante nuvole che stanno arrivando, indovino il sentiero giusto e raggiungo i mussati.

Ce l'ho fatta, a parte qualche tentennamento, devo dire che questa volta la ferrata me la sono proprio goduta, non c'era nessuno che premeva dietro e nessuno davanti che mi incitasse ad accelerare il passo.

Infine ci ritroviamo con Chiara e Barbara intirizzite dal freddo nell'attesa del nostro arrivo.
Pranziamo tutti allegramente su una forcella.
Rispolverando poncho ed antipioggia scendiamo, per la comoda mulattiera, non permettendo a Chiara di concludere l'anello e scovare il suo brillante.
Allegre api si uniranno poi a noi per il brindisi finale.


Com'era la ferrata?
Facile si forse ma da non sottovalutare
Per principianti no
Sicuramente fattibile con le dovute cautele e precauzioni.


giovedì 17 settembre 2009

12 Agosto 2009 - Verso il lago Stellune

Il lago Stellune è un lago di origine glaciale che si trova ai piedi dell'omonima cima in Lagorai.
Un lago blu smeraldo incastonato tra i graniti del Lagorai , "una visione di sogno, che rifulge con le acque color azzurro cobalto e riflessi verde smeraldo che lasciano senza fiato". ( Cfr. APT Trentino)

Un paio d'anni fa, a Ferragosto, avevamo provato a raggiungerlo partendo dal Rifugio Carlettini sopra Strigno in Valsugana, ma la giornata era stata sfortunata e a causa di un piccolo incidente avevamo rinunciato.
Antonio, già dall'anno scorso, mi raccontava di voler raggiungere lo Stellune dalla Val di Fiemme attraverso un percorso in quota e di organizzare una gita da quelle parti. A noi era rimasta la voglia di vederlo. Il giro, sulla carta Kompass e Tabacco, sembrava abbastanza lungo, ma con poco dislivello, il sentiero non era segnato difficile e il percorso portava lungo una serie di laghi glaciali sicuramente magnifici.

Così, ci siamo dati appuntamento per le sei di mattina del 12 Agosto a Padova e alle sei meno dieci eravamo già in auto direzione Cavalese. A Cavalese abbiamo preso la funivia del Cermis resa tragicamente famosa per l'incidente dell'areo americano che costò la vita a molte persone. Salendo, non abbiamo potuto fare a meno di chiederci come abbia fatto l'areo degli americani a tranciare il cavo della funivia. Doveva proprio volare radente al suolo. Stavano giocando con la vita delle persone e gliel'hanno tolta.

All'arrivo della funivia, non possiamo che constatare che anche sopra i 2000 metri, la giornata non è delle più limpide, c' è una fresca brezza ma dopo la prima mezz'ora di cammino già ci si può togliere il maglione.

Prima tappa e prima forcella di Bombasel, sopra un lago dove fanno i concerti di musica classica e poi , sempre in salita, forcella del Macaco . Da questa seconda forcella si vede una lunga valle scavata nei graniti che dovremo percorrere al ritorno. Decidiamo di ragiungere lo Stellune da un' altra valle per fare un giro ad anello (una delle fissazioni e delle maledizioni degli escursionisti esperti : perchè andare e tornare dalla stessa parte se si può fare un giro ad anello ?) e saliamo quindi verso la ripida forcella del Vallone per un sentiero impervio e mal segnato. L'erba ha ricoperto la traccia in alcuni punti forse per il poco passaggio. Appena sotto la forcella, una coppia di escursionisti sta facendo la pausa pranzo e ci guarda un po' sconcertata quando ci vede svalicare verso la Val Moena. Più sconcertati ancora rimaniamo noi sul sentiero di discesa dopo mezz'ora di cammino ( un po' troppa discesa e un po' troppo tempo) quando non abbaimo ancora trovato il bivio del sentiero che dovrebbe risalire verso la forcella dell'Oro delle Buse( in breve forcella dell'Or). Antonio prova a salire il pendio fuori dal sentiero per vedere se abbiamo perso la traccia. L'unico sentiero che si presenta e solo a tratti è quello che stiamo percorrendo noi anche se rispetto alla cartina Tabacco di Antonio e alla nostra Kompass non corrisponde. Proseguiamo per questa traccia, d'accordo che se non arriveremo a un bivio che risale entro breve dovremo tornare indietro. Il cielo si è fatto ancora più scuro a causa di qualche nuvola davanti al sole, e questo non aiuta il morale. Finalmente un bivio si presenta ( non abbiamo l'altimetro, ma di sicuro siamo più bassi di un 150 metri di quello che dice la cartina) e si ricomincia a salire ma il sentiero non è dei più battuti e si procede con calma. Pietre laviche scure che fanno un rumore di cocci di vetro rotti quando ci passiamo sopra, erba che copre il sentiero e le sconnessioni del terreno. Si procede con fatica. E' l'una passata, sono tre ore e mezza che camminiamo e nella testa mi sorge un tarlo ( l'ultima funivia è alle cinque e mezza, se la perdiamo ci saranno mille metri di dicesa) e quindi, accelero il passo, per quanto possibile. Ad un certo punto arriviamo ad un bivio dove da una parte si potrebbe andare verso il lago dello Stellune (il tempo di percorrenza indicato è di 2 ore e trenta) e dall'altra parte c'è la via del ritorno (se così si può dire ) per la forcella dell'Or e la forcella Lagorai ( quella dove si deve prenderà la valle in discesa cha avevamo visto la mattina). Io, per rafforzare la mia decisione, mi siedo su un sasso e giuro di non muovere più un passo verso lo Stellune, che sicuramente non esiste ed è un invenzione dell'ufficio turistico del Trentino. In ogni caso, se esistesse, non avrebbe mai potuto essere raggiunto da alcun escursionista, perchè troppo lontano. Taccio sul fatto che a questo punto, da uno zaino, è spuntata una cartina 4LAND di nuova generazione tracciata con il GPS, intonsa, che era rimasta nascosta perchè non aveva dei bei colori. Anche gli altri, non volendo nemmeno pensare di ricorrere all'utilizzo della pila frontale per la sera, optano per la via del ritorno e quindi, con un po' di fame che si fa sentire, ci mettiamo gambe in spalla verso la forcella dell'Or. Una bella fatica arrivare in cima, ma quando ci siamo, il paesaggio ci lascia davvero senza fiato, per non parlare poi del sentiero che da lì conduce alla Forcella Lagorai e la vista da quest'ultima verso Cima D'Asta, la regina del Lagorai, sgombra dalle nubi.

Intercettata la via del ritorno, possiamo rilassarci per un attimo e mangiare qualcosa. Le nuvole che fino ad ora ci avevano accompagnato si diradano e tutto cambia aspetto. Il grigio, fino a poco prima minaccioso dei graniti, diventa argento brillante e il sole scalda gli animi. E da qui fino al ritorno è un continuo meravigliarsi per la valle incantata che stiamo attraversando, dove si trovano dei laghetti color smeraldo e un torrente d'acqua cristallina scorre. Alla fine di questa valle meravigliosa riprendiamo a ritroso la strada del mattino fino al lago di Bombasel e alla funivia, dove arriviamo giusto cinque minuti prima dell'ultima corsa.

Resta il ricordo di una bellissima giornata di avventura pura e resta aperta la partita con lo Stellune sulle cui rive prima o poi andremo a piantare la bandiera del CAI di Padova e quella dei Mussati Patavini.

lunedì 14 settembre 2009

31 Luglio - 2 Agosto Operazione Odle


Tra i buoni propositi per il 2009, il 2 gennaio era nata da Lorenzo la proposta di fare un trekking sulle Dolomiti tutti insieme. L'idea era ambiziosa: percorrere un'intera altavia dolomitica con lo zaino in spalla. Dagli otto ai dieci giorni di cammino in mezzo ai monti, un'impresa epica per i Mussati.
La proposta era stata accolta con entusiasmo da tutti, qualcuno addirittura aveva rilanciato aggiungendo l'ipotesi di portarsi la tenda sulle spalle e così, già a fine gennaio, era stata fissata una data per il trekking: ultima settimana di luglio, in modo che tutti potessero chiedere le ferie. (I Mussati sono quasi tutti degli sfigatissimi lavoratori dipendenti).

Tra un'uscita e l'altra del corso di sci, le ciaspolate invernali e l'inizio del corso escursionismo, se ne continuava a parlare, ma solo a livello ipotetico e così, a fine giugno, non era stato ancora deciso nulla anche se la Dolce, Tabarez, Blogger Misteriosen e Comici, gli unici che ci avevano creduto fino in fondo, avevano già preso le ferie.
Finalmente, in una calda sera estiva di luglio, con cartine topografiche alla mano, nel covo dei Mussati valorosamente sorvegliato da RockyBubu, sono stati messi ai voti gli itinerari proposti per un mini-trekking (mini, visto il poco tempo rimasto per l'organizzazione). E' stato scelto all'unanimità il giro delle Odle perchè non c'era mai stato nessuno, sembrava un bel posto e ci sono tanti prati (la passione di Comici).
Convinto anche Rubigno che non aveva capito del tutto il dislivello e le ore di cammino e la Cate che si è fidata ciecamente delle nostre scelte, non restava che sentire i rifugi per estendere la proposta al resto del gruppo. La mattina successiva alla otto, Tabarez chiamava i Rifugi Firenze e Genova, trovando l'amara sorpresa che per la notte di sabato 1 Agosto, al Firenze erano rimasti solo otto posti. Prenotate tutte le brande disponibili, si potevano chiamare solo altri due Mussati. Alla fine ne è stato trovato solo uno, la Cri. L'ottavo l'avremo incontrato, inaspettamente, al Rifugio Genova.

Il giro delle Odle è stato grandioso, bello oltre ogni aspettativa per la bellezza dei posti, per l'affiatamento della squadra e perchè siamo riusciti a fare, incredibilmente, tutto quello che avevamo pianificato, impresa non da poco la salita alla vetta del Sass Rigais, 3025 m., attraverso la via Ferrata.

Quello che non dimenticheremo:

Col Raiser. il posteggiatore, tutt'altro che tirolese, che ci ha fatto 'parchejare vicino u gatu !' .

La cicatrice sulla fronte di Lorenzo, causata dallo sgambetto di una radice.

I sentieri che stranamente non seguivano le curve di livello.

La prenotazione a nome Barbarelli al Rif.Genova e la spettacolare cena a base di canederli, uova speck e patate.

Jens, l'ottavo Mussato, il ragazzo di Monaco che camminava docici ore al giorno per i monti e che per qualche tratto è stato nostro compagno di viaggio.

Il prato delle marmotte.

La doccia al Rif.Firenze, la più grande che io abbia mai trovato in un rifugio.

L'emozione all'attacco della ferrata. Almeno mezz'ora per imbragarci e controllarci l'un l' altro.

Il panorama dalla cima del Sass Rigais.

I dieci minuti di grandine in ferrata e la discesa che non finiva mai.

La mela della strega del Rif. Firenze rubata da Rubigno che ci procurerà la maledizione (cfr. punto precedente).

Le Foto del Trekking.

giovedì 23 luglio 2009

21 giugno 2009 - Col Rosà con il corso Escursionismo

Primo giorno d'estate e finalmente siamo in Dolomiti. Mi sono mancate in questi mesi.
Partenza poco dopo Fiames sul Boite Camping Olimpia. Destinazione Cima del Col Rosà. Salita dalla parete sud ovest per la Ferrata Bovero.
L' avvicinamento alla parete è quasi un'altra escursione. Un 'ora e mezzo di cammino in salita nel bosco. Pendenza del sentiero costante. Quando arriviamo a Passo Posporcora dove indossiamo gli imbraghi qualcuno è già stanco, qualcuno deve già cambiarsi la maglietta sudata.
Sono quasi alla fine del gruppo perciò prima di attaccarmi al cavo con i moschettoni passa un'altra mezz'ora (forse anche di più) e invidio i primi anche perchè a stare ferma, tanto per cambiare, mi sono congelata le mani. In effetti la temperatura non è per niente estiva. Il sole compare e scompare tra le nuvole e qualche folata di vento mi ricorda il bollettino meteo di ieri ( 2000 Metri : min. 2° max. 8° ).

L'attacco della ferrata fa subito capire che ci sarà da far fatica. Dritto e liscio tanto da chiedersi perchè stiamo salendo da questo lato se dall'altra parte c'è un bellissimo e comodo sentiero che portava in cima lo stesso. Forse perchè da qui si ammirano le Tofane ancora piene di neve e la Val Travenanzes per tutta la salita, mentre dall'altra parte avremmo dovuto arrivare in cima per vederle, ma non è abbastanza come giustificazione. Dopo questa progressione iniziale abbastanza faticosa, ecco un canalino infido verso cui il cavo accompagna che si presenta comodo per riposarsi ma che si rivela troppo stretto per salire e come tutti i canalini lascerà il segno sulle gambe per le prossime settimane ( niente minigonna almeno fino a metà luglio. Lo sapevo che bisognava passare fuori anche se il passaggio era esposto, giuro che lo sapevo!).

Lo spigolo che segue è bellissimo. Ci sono molti appigli e ti dimentichi quasi del cavo fino al traverso dopo il quale è d'obbligo ringraziare che fosse attaccato fisso. Pausa tra i mughi e qualche scalino fino alla vetta. Panorama a 360°. Di fronte a noi il Pomagagnon con Punta Fiames dove ci sono gli altri nostri compagni di corso, anzi forse vista l'ora ( tre e mezza ), dov' erano.

La via di discesa non è così facile come ricordavo. Nel primo tratto troviamo anche la neve e in tutto il sentiero ci sono i segni delle slavine che quest'inverno si sono portare giù pezzi di montagna. Alberi ancora piegati dal peso della neve che ormai se n'è andata. Si scende pima tra i mughi e i rododendri non ancora del tutto sbocciati, poi su ghiaie e infine nel bosco che profuma di resina. La discesa è lunga ma non è difficile. Ci si può distrarre... ricordo l'estate del 98, l'estate delle mie incredibili vacanze a Cortina, l'estate in cui ho aperto un debito con la montagna. Una giornata di luglio con il cielo terso. Eravamo in tre ed eravamo partiti al mattino presto. Le immagini dei ricordi si sovrappongono a quelle del momento. Il pensiero va a due amici di un tempo che ho perso di vista, due amici che mi hanno trasmesso l'amore per la montagna. Dedico a loro la salita al Col Rosà.

Le foto. La foto di copertina del post è di Paolo.


sabato 30 maggio 2009

24 Maggio 2009 Valle Santa Felicita

Santa Felicita, ai piedi del Grappa, si presenta a chi arriva da Romano da Ezzelino, come una stretta valle sinuosa che corre tra due pareti non troppo alte e non troppo belle : una stradina sterrata e polverosa la percorre. A terra, rovi erba alta e un milione di insetti tra cui numerose zecche pronte ad attaccarsi al primo viandante. L'escursionista che si trovi a passare da queste parti non potrebbe in alcun modo restare meravigliato dalla beltà del paesaggio, ma rimarrà sbalordito per il gran numero di alpinisti attrezzati di tutto punto (corde, imbraghi, caschetti) e tintinnanti di moschettoni che si incontrano appesi alle pareti, e dalle intrepide acrobazie compiute in libera sulle pendici sterpose del monte da arrampicatori folli a petto nudo e Superga .
L'attrazione principale di Santa Felicita che la rende meta di pellegrinaggio da parte di tutti i CAI del Veneto la breve ma ostica via ferrata che è stata attrezzata su una delle pareti della vallata dove i neofiti dell'alpinismo vengono iniziati al brivido del vuoto e del IV grado.

Domenica 24 Maggio due sezioni CAI del Veneto si erano date appuntamento in questo infausto luogo, quella di Treviso in forma ridotta e quella di Padova al completo con l'intera commissione escursionismo, un corso di escursionismo avanzato e un corso di aggiornamento per accompagnatori di alpinismo giovanile. Inoltre due, tre gruppi indipendenti di arrampicata libera avevano occupato le vie più difficili.

Sulle pareti attorno a Santa Felicita persino i ragni veri ( le lucertole non si trovano perchè le pareti sono in ombra) facevano fatica a trovare qualche centimetro per muoversi liberamente.

Avevo sentito parlare di Santa Felicita come un dazio da pagare al CAI prima di potersi avvicinare al mondo delle ferrate ed ero preparata psicologicamente a trovare qualcosa di difficile da affrontare, ma non mi aspettavo una tale tristezza di paesaggio e la totale mancanza di soddisfazione nel salire e attraversare una parete tanto impervia quanto insulsa. Possibilità di arrampicare su roccia pari a zero. Per tutto il tempo della ferrata si è costretti ad appoggiare mani e piedi sul ferro degli scalini, dei chiodi e di pioli. Gli unici punti dove si riescono a mettere le mani su roccia sono infestati dai ragni. Il percorso si svolge luno una parete verticale leggermente strapiombante e dopo i primi cinque scalini di ferro si è praticamente su un IV grado. Chi si trova per la prima volta ad avere a che fare con una via ferrata, non fa in tempo a capire come vanno fissati i moschettoni al cavo che deve preoccuparsi ad assicurarsi con una longe perchè le braccia sono già stanche. La ferrata non porta da nessuna parte ma corre su una parete prima in salita poi in orizzontale e poi in discesa. Non c'è nulla vedere, non c'è una cima su cui salire. Niente di niente. Solo fatica e insetti da schivare. Per non parlare del concentrato di umidità che si trova nella valle e che rende ogni appiglio sul ferro scivoloso.

Però tutti i CAI del Veneto continuano a portare gli allievi a Santa Felicita e probabilmente perdono metà degli iscritti ogni volta. Possibile che non ci sia una parete migliore in tutto il Veneto dove creare una palestra per chi si vuole avvicinare al mondo delle ferrate ?

Comunque è fatta e visto che ci piace andare in montagna, nonostante Santa Felicita, pensiamo ai prossimi appuntamenti del XI corso escursionismo avanzato, sperando che siano più entusiasmanti di questa domenica.

mercoledì 6 maggio 2009

13 Aprile 2009 - Pasquetta a Sant'Erasmo

L'immagine del divano che abbiamo fotografato abbandonato sulla laguna di Venezia rende bene la sensazione che ti lascia una gita all'isola di Sant'Erasmo, un luogo a metà tra realtà e immaginazione e tra presente e passato.
Sant' Erasmo, un 'isola distante trenta minuti da Venezia che nelle giornate di sole di festa si riempie di turisti, mentre nei giorni lavorativi è abitata solo da poche persone, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato. Case grandi con bellissimi giardini curati nel minimo dettaglio e grandi orti, soprattutto di carciofi, carciofi rossi che sono la specialità dell'isola : le famose castraure.
Anche nei giorni di festa, però, se ci si sposta dalla torre Massimiliana e dal bar ristorante vicino all'approdo di Capannone, non si trovano più turisti e si può camminare indisturbati lungo un sentiero che tra i canneti percorre l'isola. Lo sguardo può spaziare sulla laguna e più lontano sui lavori in corso del Mose che cerca di sottrarre la città di Venezia al suo ineluttabile destino di affondare sotto le maree.

La nostra gita fuori porta a Pasquetta è iniziata alla stazione di Padova. Da perfetti italiani medi siamo saliti su un treno regionale strapieno e strapuzzolente con direzione Venezia.
Dalla stazione di Venezia abbiamo raggiunto Fondamenta Nuove per prendere il traghetto e nonostante ci fossimo messi diligentemente in fila ad attenderlo, siamo riusciti a perderlo perchè , si sa, in Italia i concetti di educazione, ordine e rispetto per gli altri sono qualcosa fuori moda, perciò dei simpaticissimi connazionali che hanno scavalcato le transenne dalla parte dell'uscita sgomitando, sono saliti sul traghetto prima di noi anche se erano arrivati ben dopo e dovendo scegliere tra una rissa e l'attesa abbiamo preferito l'attesa.

Arrivati finalmente a Sant'Erasmo in mezzo ad una serie di famiglie con bambini urlanti ormai a mezzogiorno, ci siamo diretti verso la torre Massimiliana e l'unico posto di ristoro aperto dell'isola.
Incredibilmente, la folla si è ridotta ed è diventata più silenziosa e finalmente abbiamo potuto godere della bellissima giornata carica di sole e vento di mare che porta il sale sulla pelle.
Giusto per cominciare l'escursione, visto che non c'erano per una volta delle salite da affrontare,
abbiamo deciso di fare subito il pranzo al sacco e Vania è stata premiata come migliore capogita dell'anno.
Dopo il lauto pranzo, ci siamo incamminati per il sentiero che segue il perimetro dell'isola tra le chiacchiere fino a raggiungere la chiesa di fronte alla quale c'è la fermata del traghetto per Venezia.
Foto e foto come sempre.

lunedì 23 marzo 2009

15 Marzo - Ciaspolata in Val Venegia

Chi me l'ha fatto fare di svegliarmi alle 5 anche questa domenica mattina ? E' sempre lei la mia meravigliosa e maledetta passione per la montagna. I ripensamenti durano il tempo di alzarsi e vestirsi. Poi il profumo del caffè scaccia ogni dubbio. E quando ( non ancora le 6) arrivo al punto di ritrovo e vedo le facce altrettanto assonnate dei miei compagni di gita, ho la certezza che anche oggi non resterò delusa e che insieme passeremo una splendida giornata.

Il pullman ci porta a passo Valles e da lì risaliamo con le ciaspole ai piedi, la Val Venegia fino al passo Rolle.
Il primo tratto di sentiero è nel bosco, poi si esce in una piana assolata con vista in primo piano sul Mulaz , 2906 metri di maestosa roccia dolomia.
In barba al meteo (e in barba a Zagallo) che dava brutto tempo, la giornata è splendida e ci possiamo godere uno spettacolo incredibile. Se dovessi far conoscere a qualcuno la montagna, lo porterei esattamente qui in Val Venegia, perché sembra di essere dentro una cartolina perfetta. Di neve ce ne sono ancora più di due metri e quando siamo arrivati alla Malga Venegia ne abbiamo avuto la prova tangibile, vedendo gli uomini che spalavano la neve dal tetto.

Dalla Malga Venegia si risale la valle verso la Malga Venegiota sempre in falso piano. Si procede tranquillamente su una traccia di neve ben battuta. Superata questa Malga il sentiero inizia a salire fino alla Baita Segantini dove si fa la sosta pranzo e dove tutti possono ammirare con invidia il panino astronave di Massimo e i biscotti giganti che Roberta inzuppa nella tazza di the ricavata dal coperchio del thermos.

Dopo la sosta, saliamo la Cima Costazza dal versante Nord. Dalla Cima la vista spazia a 360° ( vedi video allegato) e la soddisfazione è notevole, anche nella discesa sulla neve fresca.

Ultimo sforzo fino a passo Rolle dove si conclude la nostra gita.

martedì 10 marzo 2009

28 Febbraio - 1 Marzo - Altissimo di Nago

Dopo una giornata incredibile di sole e neve, siamo arrivati al Rifugio Altissimo dove sono previsti la cena e il pernotto. Distrutta dalla fatica ed estasiata dal panorama, resto fuori almeno un'ora per scattare le foto a prova dell'incredibile impresa. Salire una cima dà sempre una grande soddisfazione, ma salirla con la neve è un'altra cosa. Sia per la fatica ( ogni passo richiede sforzo e concentrazione) sia per l'incredibile bianco scenario che si presenta dall'alto.
La visione delle cornici di neve modellate dal vento, delle mensole sulle pareti innevate da dove qualche giorno prima si è staccata una valanga, del profilo maestoso e luccicante del Baldo resteranno a lungo impressi nella mia mente. Mentre sono in contemplazione del panorama, la maggior parte della comitiva si fionda dentro il rifugio in cerca di un posto caldo. Così, quando entro, i letti al piano terra e al primo piano dove ci sono le stufe accese, sono già tutti occupati e a me resta il secondo piano alias sottotetto dove fa decisamente freddo tanto che, respirando, dalla bocca esce fumo come se fossimo all'aria aperta. Per fortuna ci sono tre coperte a testa e poi nella stanzetta da quattro posti ci sono sei letti quindi si potrà contare sull'effetto stalla per scaldarsi. C' è una bagno anche al secondo piano, ma il cartello appeso sulla porta d'ingresso "solo pipì" mi ricorda una cosa che sapevo già : non c'è acqua corrente. Cerco di tirar fuori il mio spirito d’adattamento, ma mi viene la nausea lo stesso. Respingo il pensiero a quando ci sarà la necessità e più congelata di quando sono entrata, scendo al piano terra per appropriarmi di un posto in pole position vicino alla stufa. C’ è sempre un qualcosa di magico nella sala pranzo dei rifugi, quando sorseggiando una tazza di the o di vin brulè tenuta a piene mani per scaldarsi, si rivivono i momenti della giornata. Chi racconta della salita che non finiva più, chi della neve troppo soffice su cui non si faceva presa, chi mostra le foto sullo schermo della digitale, chi si ricorda di quando era stato qui d’estate, di quella volta che ... Tra una chiacchiera e l’altra arriva l’ora della cena. Il rifugio è accessibile solo a piedi o con gli sci, quindi tutto quello che mangiamo è stato portato a spalle dai gestori. Nonostante questo, non manca niente: orzetto, canederli, polenta, formaggio, salsiccia, funghi, crauti, fagioli, carne salada , torta sbrisolona e non sono le possibilità di scelta del menu, è tutto quello che abbiamo mangiato. Tutto buonissimo. Quella degli alpinisti è una fame sincera.

In più, per conciliare il sonno e scaldare gli animi e i corpi, ad un certo punto, sopra i tavoli sono comparsi dei vasi da conserva pieni di grappa a tutti i gusti nel numero di 39. Da un classico pino mugo, genziana, mirtillo alle erbe dai nomi più strani fino all’aglio e al peperoncino. Non credo che qualcuno sia riuscito ad assaggiarle tutte anche se molti ci sono andati vicino, ma la grappa era buona perché il giorno successivo non c’era nessuno con il mal di testa. La serata è stata davvero divertente e abbiamo dovuto smentire la regola per cui in rifugio alle dieci si spegne la luce e si va a dormire presto.

Poi quando abbiamo appoggiato la testa sul cuscino, qualcuno ha preso sonno subito, molti altri sono rimasti ad ascoltare la dolce sinfonia di chi ronfava placidamente, anche se chi ha dormito, giura di non aver mai russato in vita sua.

Al mattino successivo, il Monte Altissimo era avvolto dalle nuvole e noi eravamo nel mezzo. Aria umida e gelida, visibilità poco più di cinque metri, ma il nostro magico capo gita e i nostri accompagnatori sono riusciti a riportarci a valle ignari del fatto che avremo raccontato quello che era successo.

martedì 3 marzo 2009

28 Febbraio/1 marzo 2009 - Ciaspolata al Rifugio Altissimo

Martedì mattina. Sono passate già due notti di riposo ma l'acido lattico non accenna ad andarsene. Sembrerà strano, ma ogni volta che sento i muscoli tirare mi viene in mente un piacevole ricordo, fatto di neve, freddo, sole, nebbia, sorrisi, fatica...Non immaginavo che due giorni sulla neve potessero essere così appaganti.
Ho visto un posto finora a me sconosciuto e mi ha lasciato meravigliato e stupito. Lì al Rifugio Graziani, i cartelli quasi completamente sommersi dalla neve mi dicono che d'estate passa una strada, che si può venire in macchina ai piedi dell'Altissimo. Si vede anche il cartello del parcheggio ma il parcheggio non c'è: mi fido delle indicazioni. Intorno è tutto bianco: davanti a noi una lunghissima salita da attaccare con le ciaspole per raggiungere la vetta.
Inizio il cammino... calcio deciso sulla neve con la punta, per piantare il rampone. Ho il fiatone, mi fermo, riparto, faccio fatica. Il sole picchia forte sulla distesa innevata e il manto bianco inizia a squagliarsi e fa scivolare. Più si sale e più è difficile fare presa sul terreno.
Ancora un po'...ancora qualche metro...Vedo Renato che da lassù scruta col binocolo la colonna di persone che sale faticando lungo il ripido pendio: si preoccupa che tutti arrivino alla meta, molla lo zaino, si lancia giù e affianca gli ultimi, li incita a salire e tutti arrivano alla cima.
Siamo tutti arrivati: il rifugio Altissimo ci aspetta lì, ne vediamo solo il tetto, il resto è sommerso da 4-5 metri di neve. Finalmente si può riposare al caldo e scherzare in compagnia. Ci raccontiamo della fatica, dei paesaggi visti, del Garda che non si vede perchè giù c'è nebbia, dell'impresa che abbiamo portato a termine, siamo tutti affaticati ma soddisfatti.
Passano le ore, guardiamo il sole che colora il cielo di rosa e di mille tinte violacee, poi sparisce e ci lascia avvolti da un paesaggio silenzioso, irreale, incantato.
Ancora niente con quello che verrà dopo...
Usciamo fuori. E' calata la notte, il vento sferza la cima del monte e il freddo è quasi insostenibile. Resistiamo dieci minuti, con la testa piegata verso l'alto: centinaia, migliaia, milioni di stelle punteggiano il cielo terso e noi fatichiamo a riconoscere le costellazioni, completamente diverse da quelle che di solito siamo abituati a vedere, fatte di 7-8 stelle soltanto e qui sono migliaia!
Una stella cadente taglia la volta in verticale...ci penso un secondo solo ma non esprimo alcun desiderio: il desiderio era quello di vivere una giornata indimenticabile e questo si è già avverato...
Rientriamo al caldo del rifugio a riposare. Non sappiamo ancora cosa ci riserverà la natura domani: sarà uno spettacolo diverso, un nebbione e un freddo da paura, ma sarà pur sempre un spettacolo di quelli che ti rimangono nel cuore.
Gustatevi un bel po' di foto qui e qui!

venerdì 20 febbraio 2009

Corso Sci di Fondo 2009. Riflessioni di fine corso

Dopo cinque settimane di sveglia alle 5 e mezza, finalmente una domenica di riposo. Poi alle dieci guardo fuori dalla finestra in direzione nord-ovest e si vedono le montagne con le neve. Che bella giornata! Forse sarebbe stato meglio non lasciarsi vincere dalla pigrizia e adesso ci si potrebbe trovare in mezzo alla neve, baciati dal sole a respirare aria pulita.

Durante il corso di sci, le giornate non sono state così fortunate. Ha nevicato per ben tre domeniche su cinque e sciare sotto la neve può essere divertente se nevica poco, se non c'è vento e comunque per i primi dieci minuti, poi inizia il freddo, il fastidio e la fatica perché non si scivola sulla neve fresca. Devo dire però, che anche con il tempo sfavorevole, l'altopiano innevato ha il suo fascino, si è avvolti in un silenzio ovattato e sembra che la natura intorno stia dormendo. Anche i colori sono insoliti, sfumati, non si distingue dove finisce la neve e dove inizia il cielo. D'altronde la natura, in ogni suo aspetto è fonte di emozione.

Il bilancio di fine corso è senz'altro positivo, per lo splendido posto dove si è tenuto, per i compagni di corso, per i progressi fatti sugli sci e non da ultimo per aver avuto un maestro che ci ha seguito con pazienza.

Adesso non resta che esercitarsi per mettere in pratica la tecnica sui chilometri e chilometri di piste che ci sono a disposizione quest'anno.

Naturalmente ecco le foto ricordo divise per argomento:

i panorami con il sole, quelli con il brutto tempo, i compagni di corso, e quelli sorpresi a dormire in pullman.

giovedì 29 gennaio 2009

Corso Sci di Fondo 2009

I Mussati Patavini fanno parte degli sciatori della domenica, che abbandonano le nebbie della pianura e risalgono la Valdastico o la Valsugana in cerca di sole e neve.
Dalla fine dell’estate, il dilemma è stato Discesa o Fondo ? A gennaio ci siamo divisi tra i corsi CAI. (tranne CalìBabà che non sapendo scegliere si è diviso tra entrambi i corsi o meglio si è sdoppiato come in un’allucinazione).
Noi raccontiamo la nostra versione dello sci di fondo, quello che abbiamo visto e praticato. Sono convinta infatti che esistano molti modi diversi per affrontarlo: ad ognuno il suo.

Tecnica classica fai da te: metti gli sci da alternato sui binari e vai. Si fanno anche quindici chilometri in tutta tranquillità. Scivoli lentamente e ti godi la natura. Le piste non sono mai affollate perché quelli che vanno forte, ti superano e spariscono dietro la prima curva, mentre gli imbranati come te vanno al tuo stesso ritmo. Se partono prima non li raggiungi mai e se partono dopo non li vedi nemmeno. La cosa bella è che te la puoi raccontare finchè viaggi in mezzo all’altopiano, quindi soprattutto se sei in compagnia di un’amica, alla fine della giornata hai consumato il fiato lo stesso, anche se di chilometri non ne hai fatti molti. Davvero rilassante. E poi vuoi mettere l’abbronzatura che farà invidia a tutto l’ufficio ?

Skating. Attività fisica intensa. E’ faticoso. Ci vogliono fiato, gamba , coordinazione e tecnica. Anche i più atletici senza tecnica non fanno strada e senza fiato e gamba non si va in salita.
Iniziare da soli senza maestro rischia di diventare una tragedia stile fantozziano (leggende non troppo metropolitane raccontano di gente che si è spaccata appena messi gli sci ai piedi). Gli sci da skating, infatti, sono completamente lisci sotto e vanno da tutte le parti. Il movimento da fare è quello del pattinaggio ma se non spigoli lo sci ( spigolare = inclinare lo sci verso il bordo interno all’appoggio sulla neve) non vai avanti, ma soprattutto rischi di andare all’indietro o con una gamba da una parte e una dall’altra.
Ci vuole un po’ di tempo per imparare. Passo corto, passo lungo, passo doppio. Tecnica per la salita e per la discesa. E ci vogliono anche due polmoni ben ossigenati se si vuole fare strada. Il divertimento inizia dopo un po’ che ci provi. All’inizio è solo fatica ed è facile scoraggiarsi anche perché le prime volte si arranca per la salita contro la forza di gravità ( F = mg^2) e contro qualsiasi legge fisica ( ma come si fa a scivolare in salita? ) con il cuore a mille . Ma poi è soddisfazione ed è anche divertimento. Così che per celebrare il successo sportivo ti puoi compare anche la giacca WindStopper magari in saldo al 50% modello dell’anno prima.

Quest’anno, corso di skating base ma non troppo oppure avanzato ma non del tutto in Valmaron sopra Enego. Chilometri di piste che non finirò mai di fare.

Sull’altopiano erano decenni che non si vedeva così tanta neve. Bianco dappertutto, ovunque ti giri. I cartelli delle piste sono sprofondati nella neve, così come le malghe d’alpeggio.
Sciare è un vero spettacolo. E quando non ce la fai più ti fermi e guardarsi intorno è un’ emozione. Anche con la digitale sfigatissima comprata all’Auchan si riescono a fare belle foto.

Siamo alla terza lezione di corso: dieci allievi, un maestro della scuola nazionale, figo quanto basta, e veramente bravo. Riesce a seguire tutti, spiega anche tre volte se non capiamo. Ti incoraggia, ti corregge quando serve e riesce anche a farti i complimenti quando vede che hai fatto progressi. L’hanno scorso a Gallio non era andata altrettanto bene.

L’organizzazione CAI del corso di quest’anno è stata vantaggiosa quanto a prezzo delle lezioni, del trasporto e del noleggio. Un po’ meno nella logistica. Troppo permissivismo con i ritardatari la mattina e non capisco perché ci fanno fermare in Valsugana al Pescatore per fare colazione quando alla nostra destinazione c’è un bellissimo rifugio. Mi devo svegliare alle 6 la domenica mattina per mettere gli sci dopo le 10 e 30. E’ come andare in gita con i pensionati. Manca solo che passino nel pullman a vendere le pentole. C’è comunque la predica del prete, dieci minuti tutte le mattine, e con la benedizione si scia meglio. Roberto la ascolta con più attenzione di tutti gli altri perché in due ore riesce a farsi sempre venti chilometri, anche se lui nega che sia questo il vero motivo.

Obbiettivo non dichiarato di fine corso: sfidare Valentino sul tracciato agonistico. Ma al momento non ho ancora imparato il passo doppio e quindi perderei, con grande conseguenze negative per il mio ego. Mi accontento quindi di scivolare dolcemente sugli sci, ancora per qualche settimana, fino all’arrivo della Primavera.

lunedì 19 gennaio 2009

28 Dicembre 2008- Ciaspolata al Rifugio Città di Fiume (Bis)

Fine Dicembre, appuntamento a Piazzale Azzurri d'Italia e noi, una decina di intrepidi Mussati, ci ritroviamo come al solito con molto entusiasmo, pronti per compiere un'altra impresa degna di essere ricordata sul blog (ancora non esisteva, ma per noi ogni escursione è un'impresa e, degna o no, si racconta per settimane!).
Giunti in vista delle prime montagne, ci rendiamo conto di quanta sia le neve anche a bassa quota. Speriamo ce ne sia un po' di più tra Pelmo e Civetta, dato che devo collaudare le mie nuove ciaspe.
Dopo breve tempo, mi accorgo che il mio desiderio è stato ampiamente esaudito: almeno 2 mt di neve a bordo strada e 10° sottozero; la prossima volta eviterò di fare certi pensieri (!!#@&!#)!!
La prima impresa ci attende a Forno di Zoldo: una pasticceria con delle luccicanti vetrine attira inaspettatamente la nostra attenzione. Lottando duramente contro il freddo, abbandoniamo le auto ed entriamo a ingolfarci di krapfen e cappuccino...
Si riparte in auto: Forno di Zoldo, Zoldo Alto, Pecol, Palafavera...scolliniamo su strade sempre più scivolose e finalmente giungiamo al punto di partenza.
Lasciate le auto sul piazzale ghiacciato, con la paura di ritrovarle il pomeriggio tutte scivolate e ammucchiate a valle, si parte zaino in spalla in direzione del Rifugio Città di Fiume a quota 1.917 mt s.l.m.
Il primo tratto si svolge su una mulattiera ghiacciata ma con neve abbastanza battuta: i nostri scarponi da trekking sono un ottimo aiuto per salire agevolmente e superare altri escursionisti (evidentemente della domenica, non Mussati) che arrancano già con le ciaspe lasciando impronte come Annibale e gli elefanti.
Il paesaggio intorno è splendido: il sole illumina distese di neve morbida e soffice; tutto intorno una corona di montagne e cime innevate ci spronano a vincere il freddo e a continuare la salita. La camminata si svolge tranquilla e rilassata, accompagnata sempre da un leggero cadere di neve.
Dopo poco più di un'ora di facile cammino, dopo una leggera svolta a sinistra, finalmente ci appare il tetto del Rifugio. Circondato da muri di neve, con lunghe stalattiti di ghiaccio che cadono dai cornicioni, svariati bob rosso Ferrari parcheggiati all'esterno...per un po' mi sfiora l'idea di “prenderne” uno e ripercorrere in discesa la forestale!!
E invece no! Stoici e coerenti con il nostro obiettivo, inforchiamo i “piedoni” e ci inoltriamo fuori pista!
La ciaspolata inizialmente è un po' difficoltosa: bisogna prendere confidenza con il nuovo modo di camminare e risolvere i piccoli problemi tecnici di qualcuno. Poi lo spirito del Mussato emerge ed iniziamo a “sprofondare” in diligente fila indiana attraverso boschi innevati e immense distese bianche, assaporando il “gusto” di quel silenzio e di quei panorami belli da togliere il fiato.
E dopo qualche ora, in effetti, il fiato comincia a venir meno, più che altro perchè iniziamo a soffrire di un leggero principio di congelamento. A quel punto ci rimangono soltanto due opzioni: scavare una tana e andare in letargo fino al disgelo o tornare indietro prima del calare del sole.
Ora sono qui a scrivere questo breve resoconto, lascio a voi intuire qual'è stata la nostra decisione...
La giornata si conclude nuovamente a Forno di Zoldo: chi sceglie cioccolata con panna, chi un toast con la birra, chi un bombardino. Si sa: ai Mussati piace essere conviviali!!
Alla prossima avventura!

giovedì 15 gennaio 2009

28 Dicembre 2008- Ciaspolata al Rifugio Città di Fiume

Riporto le foto della ciaspolata al rifugio città di Fiume sotto il Pelmo che mi ha girato la Cri, facendomi morire d'invidia.
Sarebbe bello che chi c'è stato scrivesse qualche commento.

mercoledì 14 gennaio 2009

7 Dicembre 2008 - Giornata imprevista a Tonezza del Cimone

Inizio Dicembre e c'è già la neve sulle prealpi, tantissima neve, così decidiamo di andare a sciare sulle piste da fondo di Forte Cherle nell'altipiano dei Fiorentini per la prima della stagione. Le piste sono aperte e le strade pulite, almeno il sabato quando chiamiamo Forte Cherle per chiedere informazioni. Domenica, poco dopo Tonezza, troviamo la strada principale chiusa per slavine e la strada secondaria aperta solo alle macchine con le catene.
Cambiamo i piani e decidiamo di fare una ciaspolata dalle parti di Tonezza.
Al negozio di noleggio ciaspole ci consigliano di salire verso il Monte Cimone. Nella cartina si vede che il sentiero parte da un cimitero di guerra austriaco. E' in perfetto stile CAI, quindi decidiamo per questa meta.

Sul monte Cimone non arriveremo mai, perchè dopo quindici minuti di cammino nel bosco, all'ombra, nel gelo più totale, inizio a vedere tutto nero e poi... basta mi devo sedere prima di svenire.

I miei amici mi soccorrono tra il sorpreso e l'impaurito. Un po' di te caldo e liquirizia fanno il loro dovere e dopo un tempo indefinito mi posso alzare. Ma di continuare per la vetta non se ne parla nemmeno. Scendiamo a valle e cerchiamo ospitalità e calore in un bar ristorante, in realtà un po' squallido e con il riscaldamento spento, ma d'altronde siamo a Tonezza non a Cortina.


Dopo pranzo ciaspoliamo lì nei dintorni al sole. Niente imprese, ma camminare sulla neve fresca sotto il sole è godimento puro.

Qualche foto del pomeriggio scattata da Tabarez e da Comici.

lunedì 5 gennaio 2009

26 ottobre 2008 – Cima Capi Ferrata Susatti – Foletti

Il 2° corso escursionismo 2008 è finito. Per lo meno il programma ufficiale. Gli istruttori hanno organizzato un’uscita facoltativa in ferrata sulle montagne del Garda.

Il Venerdì sera precedente ci troviamo in sede al CAI per provare l’attrezzatura generosamente prestata dall’alpinismo giovanile: imbrago, set da ferrata e caschetto.
Siamo una quindicina di coraggiosi, ma decisamente imbranati e la pazienza degli istruttori viene ripetutamente messa alla prova. D’altronde domenica non si potrà scherzare sulla sicurezza. Inizio ad avere un mal di pancia da paura.
Sabato provo ad indossare l’ imbrago così da essere sicura di non dimenticare come si fa per il giorno successivo.

Domenica, ore 6 partenza da Padova. La ferrata è classificata come facile e bellissima dal punto di vista panoramico, ma le foto trovate sul Web ritraggono anche degli strapiombi. Il mio mal di pancia si fa sentire di nuovo. Sono un po’ tesa.
Due degli accompagnatori invece sono rilassatissimi tant’è che non arrivano all’appuntamento e dobbiamo chiamarli a casa per svegliarli.

Ore 10 e 15, imbocchiamo il sentiero di avvicinamento nel bosco. I colori sono quelli dell’autunno e in qualche tratto tra i rami e le foglie si scorge il lago di Garda. Magnifico.
Si arriva all’attacco della ferrata Susatti. Buoni quaranta minuti per indossare l’attrezzatura e assumere il doping del perfetto alpinista ( frutta secca e banane) e finalmente attacchiamo.
Verso la parte finale della parete che dovremo affrontare si vedono altre persone che sono quasi arrivate. Mi convinco che ce la posso fare anch’io, ma il mio mal di pancia sembra contraddire la mia volontà.
Renato è davanti e ci da qualche nozione di arrampicata. Facile no? Procedo lentamente, cercando titubante gli appigli con le mani e con piedi. La cosa che mi risulta più difficile è lo sgancio e riaggancio dei moschettoni. Faccio una fatica tremenda a tirare giù la molla e una volta su tre, quando assicuro il moschettone al cavo, mi pizzico le dita. Dietro di me in parete seguono le due teste fine del corso, gli ingeneri ricercatori dell’università di Padova, e Renato propone loro l’invenzione del moschettone ad apertura vocale. Intanto però ci si arrangia con le mani.
Al di là della mia guerra personale con i moschettoni, mi diverto a cercare gli appigli con le mani, a trovare i punti di appoggio sui cui fare forza con i piedi per scalare la parete fino a quando, presa nelle mia velleità alpinistiche, mi dimentico di guardare cosa fa Renato davanti a me, e invece di seguire la sua traccia, mi infilo in un canalino chiuso in alto da una roccia inclinata nel quale mi incastro. Ci metto almeno dieci minuti per uscire nel passaggio da sesto grado che mi sono creata, rimettendoci anche un ginocchio. Gli ingegneri sotto di me ne approfittano per fare foto al panorama e al mio fondoschiena.
La parte finale della ferrata verso la cima è più facile.
Alla cima ci siamo arrivati credo nel doppio del tempo indicato nelle guide, ma fa lo stesso, la soddisfazione è grande, la meta è raggiunta. In vetta c’è anche la bandiera italiana quasi a celebrare la nostra impresa. Mi sento euforica e così i miei compagni quando arrivano. Riempiamo una pagina intera del libro di vetta per lasciare memoria della nostro passaggio. Foto di gruppo.
Pranzo e abbondate acqua per rimetterci in sesto e poi si scende per un’ altra ferrata, la Foletti.
In quaranta minuti la percorriamo. Solo un brivido in uno degli ultimi passaggi che sono in discesa. Attacco il moschettone al cavo e questo scivola giù di un metro fino al fittone. Capisco, che se sbaglio l’appiglio, farò la sua stessa fine. Sto attenta e indenne effettuo il passaggio.
Raggiungiamo il bivacco e poi ritorniamo al parcheggio dove abbiamo lasciato le macchine per un altro sentiero. C’è scritto “per alpinisti esperti”. Mi sento un drago! Ragazzi, che giornata! Una vera bomba!

domenica 4 gennaio 2009

3 Agosto 2008 - Rifugio Brentari a Cima d'Asta

Lagorai - Massicio di Cima d'Asta.
Partenza da Malga Sorgazza m. 1450, in una domenica d'agosto che si mostra soleggiata. Direzione Rifugio Brentari Cima d'Asta m. 2476 .
Sentiero impegnativo, soprattutto nella parte finale prima di raggiungere il rifugio. Sarà stato per le roccette, sarà stato perchè era l'ultimo tratto dei mille metri di dislivello, ma la fatica si è fatta sentire.
La vista del Lago sotto Cima d' Asta quando arriviamo è fantastica : uno zaffiro incastonato tra i graniti. Sosta per un panino e poi dentro in rifugio dove nasce la discussione che porterà al nome "i Mussati Patavini".
Usciti dal Rifugio, dove le chiacchiere si sono protratte a lungo, Cima D'Asta è stata avvolta dalle nuvole, quindi rinunciamo alla salita e scendiamo a valle per la Forcella del Passetto e la Campagnassa (un po' lunghina anche perchè le forcelle erano ben tre). Riusciamo a vedere una marmotta e una famiglia di vicentini che ci supera alla velocità dei camosci prima di essere avvolti dalla nebbia fino alla fine del percorso.
Qui le foto.

Cartina KOMPASS n° 626

15-16-17 agosto 2008 - trekking in Val Montanaia

Due settimane di preparativi per pianificare l'itinerario, studiare le cartine, raccogliere adesioni e prenotare le brande nei rifugi. Il meteo a lungo termine è sempre stato dalla nostra, ma siccome il meteo a lungo termine non è affidabile, due giorni prima della partenza, l'Arpav ha iniziato ad annunciare forti temporali per ferragosto che si sarebbero però dovuti attenuare già dal giorno successivo.
Passati al piano B, che tagliava una parte del percorso previsto per il 15, partiamo comunque in otto con destinazione rifugio Giaf, dove troviamo una calorosa accoglienza da parte del gestore che ci fa provare la parete di arrampicata artificiale, e della sua famiglia che accompagna la serata con la chitarra.
La notte si scatena l'uragano e al nostro risveglio, contrariamente alle nostre speranze, alimentate da fasulle previsioni meteo, il termometro segna 5°C a 1400m, il cielo è nerissimo e soffia un forte vento (ci accorgeremo in seguito che a quote più alte aveva anche nevicato).
Dopo un democratico briefing, 7 contro 1 (quell'1 è Comici) optiamo per il piano C: rinunciamo alla traversata per il rifugio Pordenone e lo raggiungiamo invece in macchina.
Anche il piano C non può essere messo in pratica: la stradina della val Cimoliana che porta al rifugio non è percorribile in auto perché le forti piogge hanno ingrossato il torrente che in alcuni punti la attraversa.
Lasciamo le macchine a valle e guadiamo a piedi. Finalmente il tempo volge verso il bello, ma sono già le 2 del pomeriggio del secondo giorno.
Occupiamo il pomeriggio con una breve escursione al belvedere che ci permette di ammirare da lontano il famoso Campanile di Val Montanaia e andiamo a cercare il formaggio alla casera Meluzzo che è chiusa, ci resta la consolazione di aver avvistato un cerbiatto.
Terzo giorno: paghiamo un conto piuttosto salato al rifugio, ma almeno il tempo sembra tenere.
Il piano D prevede di risalire la Val Montanaia per arrivare fino al Campanile e al vicino bivacco Perugini. La salita è impegnativa perché il sentiero si arrampica ripido lungo un canalone dalle cui pareti scende l'acqua delle piogge dei giorni precedenti, ma la soddisfazione è grande una volta raggiunta la nostra meta.
Qui le foto della nostra impresa, anche qui e poi qui e ancora qui. C'erano ben 4 macchine fotografiche waterproof!

Cartina TABACCO n°2.

sabato 3 gennaio 2009

Il corso escursionismo base 2008

Da aprile ad ottobre del 2008 il corso escursionismo ci ha portato in giro per le nostre montagne, dai vicini Colli Euganei fino all'altissimo Piz Boè del Sella.

Riuniamo qui tutti i link alle raccolte di foto scattate in occasione delle varie escursioni:
Colli Euganei
Val Imperina

Altipiano di Lavarone e Luserna
Cima Cavallazza e Val Venegia

Tre Cime di Lavaredo

Col di Lana
Piz Boè
Cima Capi


5 ottobre 2008 - al Becco di Filadonna

5 ottobre 2008 - Becco di Filadonna.

Partenza dal bar ristorante Sindech
(1113m), presso il passo della Fricca, salita per il sentiero n.439 alla seconda e terza cima del Cornetto e al Becco di Filadonna (2150m) e successiva discesa per il sentiero n.442 con sosta al rifugio Casarota (1572m) e ritorno al Sindech.




Splendida giornata con cielo terso, temperatura rigida la mattina e una spruzzata di neve fuori stagione sulla cima che ha reso l'arrivo in vetta e soprattutto la discesa un po' più complicati, ma che ci ha dato l'impressione di aver compiuto un'impresa alpinistica.

Cartina KOMPASS n°631.