domenica 13 gennaio 2013

29 Settembre 2012 - Spigolo Verde in Val Rosandra

Maggio 2008.
Val Rosandra. Facciamo un' escursione da Bagnoli fino a Bottazzo salendo alla chiesetta di Santa Maria in Siaris e al cippo Comici per un sentiero ripido e scosceso.
Mentre godiamo dalla cima del panorama sul golfo di Trieste, dal dirupo sottostante spuntano dei caschi , degli uomini e delle corde. 
Alpinisti, ovvero supereroi, personaggi epici ! Li guardo ammirata.


23 Ottobre 2011.
Val Rosandra. Lorenzo, Antonio, Glauco, io e la BORA.
La prossima settimana c' è la gita sul Matajiur ma forse non riusciremo a farla perchè ha nevicato.

Siamo qui in Val Rosandra per provare una gita alternativa se la neve non si dovesse sciogliere.
In 7 ore attraversiamo tutta la valle in lungo e in largo: Monte Carso e la Sella di Bora ( ringrazio tanto il mio windstopper con cappuccio fasciante ) , la chiesetta di Santa Maria in Siaris, il cippo Comici ,  Bottazzo, la strada della ferrovia, il monte Stena.
Forse per la signora Giovanna sarebbe un percorso troppo lungo e forse la discesa dal cippo Comici troppo ripida ed esposta.
Alla sera ci fermiamo , cotti dal vento e dalla fatica in una Osmizza. Iota , salsicce cotte nel Terrano...

Certo che la salita per la via di roccia al Cippo Comici deve essere proprio bella. Forse ha un grado alla nostra portata. Magari una volta potremmo venire a farla.


2012. Settembre piovoso. Brutto periodo per gli alpinisti in cerca di adrenalina.
Sabato mattina ore 7.00. A Padova pioviggina. Dal radar dell'Arpav vediamo che anche nel resto del Veneto gocciola , mentre più a Est,  in Friuli no.
Ricontrolliamo il meteo, verso Trieste la pioggia non è prevista prima del pomeriggio.
Decidiamo di rischiare. Gli zaini sono già pronti dalla sera prima.
Si parte per la Val Rosandra.

Mestre,  Treviso, ancora pioggia. Latisana , ancora pioggia. Qualche dubbio ci viene. Stiamo facendo 100 km in auto per niente?  Tabarelli continua a guidare.
Trieste ... un raggio di sole.
Prendiamo la strada per Bagnoli della Rosandra fino al Rifugio Premuda. Il rifugio a quota più bassa in tutta italia ( me l'ha insegnato Antonio).

Un caffè, due chiacchiere con il gestore che ci augura buon divertimento.
Si parte. Imbocchiamo il sentiero che porta all'attacco della via.
Questa valle ha un fascino particolare e oggi , più del solito.
In tasca la relazione della via. Cuore sospeso. Ecco i bolli blu da seguire. Primo secondo grado friabile. Piedi leggeri e veloci e si sale. Arrivo all'attacco con il cuore in gola per la fatica e l'emozione.
Passiamo le corde e si parte.
Finchè Tabarelli non arriva alla sosta e mi urla "molla tutto" sono un po' in ansia perchè da sotto dopo i primi 10 metri non si vede nulla e perdendo il contatto visivo sono meno tranquilla.  Poi devo partire io e dopo i primi 10 metri tutto comincia a girare per il verso giusto.
Ci alterniamo da capocordata. Il quarto tiro il più bello, sullo spigolo più esposto lo tira lui ma io arrivo da prima al Cippo.
Bellissima esperienza. Stiamo a lungo in cima , soddisfatti.

Torniamo al rifugio.
Il gestore, mentre mangiamo un ottimo panino con salame friulano,  ci racconta un'aneddoto di qualche anno fa.  Alpinisti locali stavano richiodando alcune vie in zona, toglievano i chiodi vecchi e mettevano gli spit nuovi. Dispiaciuto del fatto che i chiodi storici venissero buttati , disse loro che per ogni manciata di chiodi vecchi che gli avessero portato gli avrebbe offerto una birra. Ne ha recuperò tantissimi.
Ci mostra che ad una parete sono appese una corda di canapa, degli scarponi e dei chiodi in ferro forgiati a mano. Sento lo spirito di Comici che mi batte una pacca sulla spalla.

Ore 16.00 inizia a piovere e noi... torniamo a casa.

domenica 30 dicembre 2012

23 Dicembre 2012 Monte Rite con la neve e senza funivia

Caro signor Messner,
domenica 23 Dicembre io e pochi amici siamo stati in cima al Monte Rite.
Siamo saliti senza fretta, con le ciaspole ai piedi. Grazie alla lentezza, durante il cammino, abbiamo ammirato il panorama verso il gruppo del Tamer e San Sebastiano, osservato le tracce degli animali sulla neve, e soprattutto ci siamo goduti il silenzio del sentiero. 
Abbiamo incontrato nella salita altri escursionisti, qualcuno della vicina Pieve di Cadore, una famiglia con dei bambini che tiravano gli slittini, una coppia di sci alpinisti e qualche altro Veneto della pianura partito come noi presto al mattino per sfuggire alla nebbia padana e allo smog e godere di pace e tranquillità.

In cima una meraviglia. Il Pelmo imponente, l'Antelao a contrastarlo.
Sotto, lontana , la valle del Boite.

Il rumore del vento, il WROOM della neve prima della caduta del tetto, il battito d'ali di un gracchio che planava a beccare le briciole del nostro panino.

Immagino la stessa giornata con la funivia aperta : la puzza del generatore a diesel, il ronzio degli impianti. Gente urlante in cima che non ha consumato il fiato per salire e lo usa impropriamente per gridare. Confusione,  chiasso, continui squilli di cellulari e "prontoooo".
Per fortuna è solo una possibilità remota. Speriamo che la regione usi i soldi in modo più appropriato valorizzando in altro modo la valle di Cibiana.
Il Monte Rite noi lo preferiamo così senza funivia.


venerdì 31 agosto 2012

19 Agosto 2012. Tofana di Rozes mt 3225. La rivincita

Ore 8.00 Rifugio Dibona mt 2083. Cielo azzurro limpido. 
Oggi si può ripetere la sfida tra i piccoli ( quasi tutti piccoli) escursionisti con velleità alpinistiche e  la grande, immensa Tofana di Rozes, 3225 mt di roccia dolomia.

Scegliamo la via normale, sulle tracce di Grohmann e dei cacciatori ampezzani che per primi salirono questa cima. Oggi l'alpinismo è un' altra cosa. Grohmann non aveva i bolli blu, la traccia sul ghiaione, il rifugio Giussani come punte d'appoggio, ma la conquista della vetta è sempre un'avventura ed un'emozione e, come mi hanno insegnato, due cari amici che erano con noi in questa avventura, ognuno di noi può scrivere la propria storia dell'  alpinismo fatta di piccole e grandi imprese.

La Tofana di Rozes è stata una cima conquistata passo dopo passo, lentamente in una giornata di sole come poche si vedono in montagna.
In cima noi, polacchi, spagnoli, inglesi, qualche altro italiano. Tutti soddisfatti, tutti con un ricordo da portare a casa e una storia da raccontare.

Le immagini della Tofana di Rozes che mi resteranno a lungo impresse nella mente:  a 200 metri dalla cima, uno spigolo bianco che sembra impossibile e bellissimo, in vetta, la vertigine di essere più alti di qualsiasi cosa, ma molto più alti, la torre grande di Falzarego, fatta ieri, piccolissima, il sentiero di discesa così ripido che temevo di restare in cima sempre.

Dal diario di Grohmann, 23 agosto 1863 "...questi uomini erano guardaboschi, cacciatori di camosci o contadini, ma nessuno era guida. Tutti però facendomi da guida nelle ascensioni che pur compivano per la prima volta, tutti senza eccezione andarono oltre ogni aspettativa."

Anche noi, questa volta, siamo andati oltre ogni aspettativa.



mercoledì 22 agosto 2012

18 Agosto 2012 - Torre Grande del Falzarego

18 Agosto. 
Secondo giorno di permanenza in zona Falzarego. La sera precedente al Rifugio Dibona, tra Tortelloni ai funghi, casunzei agli spinaci , uova e speck e  wuster bagnati da una birretta, lunga discussione sulla via di roccia da fare il giorno successivo. Viene votata una via di 5 /6 tiri di IV massimo, sulla torre grande del Falzarego.
L' avvicinamento di un'oretta,  prima per sentiero e poi per ghiaie e roccette, tra i mughi, potrebbe scoraggiare almeno una parte dei tanti alpinisti o presunti tali che si trovano in zona Cortina nella calda settimana di questo ferragosto.   
In effetti , la scelta è appropriata in questo senso. Trovare l'attacco non è facile. C' è solo un' altra cordata prima di noi ma sono già in alto. 
Facciamo due cordate. Gli esperti Renato e Roberta davanti, i meno esperti ( cuor di coniglio e Glauco) seguono. 
Abbiamo tre friends nuovi di negozio e speriamo di riuscire ad usarli. Renato, parte un'attimo titubante ma poi è veloce. Noi stiamo ancora facendo su le mezze corde. I  primi due tiri , dove ci sono i passaggi di IV, porta su la corda Glauco. Io seguo da seconda. A parte un passaggetto bastardo, ma forse perchè non ci siamo ancora scaldati, la via è divertente. Dopo discussione animata, cuor di coniglio consente a portare su la corda al terzo tiro perchè il grado è  massimo IV- e sono solo 25 metri, ma manca la sosta,  e così si fa anche il quarto tiro quasi per intero. La via è bella verticale, ma c'è proprio di tutto da prendere e solo quando cuor di coniglio sente la forza di gravità delle mezze corde tirare verso il basso ( F = 4 kg * (9,8 Kn  al quadrato), guarda in basso e gli omini in fondo al sentiero sono proprio piccoli.

All'ultimo tiro, Roberta perde il contatto audio con Renato. Ci troviamo in sosta in tre e non sappiamo se lui è arrivato o meno. Dovrebbe essere fuori. La corda sembra tesa. Roberta parte e tutto è a posto. 
Con calma arriviamo in cima anche noi per facili roccette. Non c'è la croce , ma un bellissimo ometto a salutarci.. Siamo a 2500 metri. 

In parete segue un'altra cordata composta da due giovani alpinisti di Treviso.Uno di loro è alla prima esperienza in montagna ed ha un casco da cantiere della protezione civile. Arrivano in cima anche loro e ci complimentiamo gli uni con gli altri. C'è grande soddisfazione.

Perfetto, e adesso come si scende? Nella relazione fotocopiata dalla guida del Bernardi si legge " discesa , come itinerario N° 86 ". Peccato che l'itinerario n° 86 non è stato fotocopiato!

Dalla parte opposta della salita ci sono due canali ripidi ( Madonna che ripidi). Intanto arrivano in cima, da un altro itinerario,  due francesi, probabilmente sono scesi dal Monte Bianco per venire a riposarsi in Dolomiti, perchè appena il tempo di farsi una foto e si lanciano giù da uno dei due canali legati in conserva ( pazzi !!).
Su uno dei canali vediamo un cordone ( almeno da 10, ma chissà da quando è qui, probabilmente dagli anni 80 quando hanno aperto la via ) ancorato ad un masso irremovibile e con un anello. Lungo il canale ci sono altri chiodi. Renato cala in moulinette Roberta che ogni tanto passa un rinvio per 20, 30, 40, 50 metri.( Ahia sta finendo la corda!) . Finalmente esce dal canale e blocca la corda. Noi e i ragazzi di Treviso ci assicuriamo con un machard e iniziamo a scendere nel canale. Passaggi di II e III e tanta tanta ghiaia. Era più facile la salita.

Alla fine del primo canale, si gira a sinistra in un altro canale di 20 metri, che finisce in una cengia esposta ancora a sinistra e in discesa fino alla sosta per una doppia di circa 30 metri. Ancora qualche ghiaia e arriviamo al sentiero di salita. Però ... alpinismo puro! Autostima a mille. 
La cena del Dibona ci aspetta!

martedì 31 luglio 2012

Intrepidi mussati - La Gusela sulla Schiara

domenica 13 maggio 2012

10 luglio 2011 - Via Carugati a Rocca Pendice

La Carugati sulla parete Est del Pendice. Via aperta nell' autunno del 1909 dai coniugi Carugati con l'amico Rossi. La via costò agli alpinisti un bivacco notturno in parete.
 Oggi la via è una delle classiche della Est che sono state attrezzate a spit e resinati  ed è considerata una via sportiva, ma per chi, come noi, è un alpinista alle prime armi, è pur sempre una sfida avvicente.
Tanto più che la via, poco frequentata d'inverno e vietata da marzo a giugno per via del falco Pellegrino, sembrava essere diventata un sogno irrealizzabile dopo che era sfumata lo scorso ottobre.

Il 10 luglio, giornata di un caldo memorabile, ci troviamo alle 14 e 30 a TrePonti per bere un caffè al bar pasticceria ( chiuso). Presenti i coniugi Beriotto che non sono certo alpinisti alle primi armi , Tabarez ed io.
Durante la sosta ci accorgiamo che MonteGrande sta andando a fuoco. Un elicottereo vola sopra il versante dove a  mezza costa salgono fiamme e fumo nero. ( L'incendio, doloso, mangerà tre ettari di bosco).  Questo evento fa avere il sopravvento al coniglio che è in me rispetto all'alpinista che inizia a temere di imbarcarsi in un'impresa troppo difficile.

Al parcheggio sotto la parete scopriamo di non essere gli unici pazzi ma troviamo dei consocenti che stanno andando a fare dei monotiri.

Il bosco è umido e all'attacco siamo già grondanti. Facciamo due cordate. La prima dei coniugi Beriotto. La seconda tira Tabarez assicurato dal coniglio che è in me. Il camino è umido e già al secondo chiodo una nuvola di magnesio mi avvolge. Sto sudando l'impossibile e cerco di asciugare.

Sul punto stretto del camino, donna Roberta urla "forza i piccoli". Incredibilmente sullo stesso passaggio non ho dubbi. Mi viene invece il dubbio che forse è meglio farmi calare al passaggio prima della sosta. Sono da secondo ma se scivolo faccio il pendolo. Il traverso è il pegno che devono pagare i conigli che non hanno il coraggio di tirare da primi, quindi dopo due o tre  "ma siamo sicuri se.." affronto in apnea ma con perfezione il movimento delicato e arrivo in sosta.
Beriotto giura che il resto della via è più facile quindi acconsento a proseguire.
In effetti , salendo, anche la vegetazione si dirada. La roccia è pulita e inizamo a sentire un po' d'aria. Monte Grande è ancora in fiamme e l'elicottero è in ancora in volo.

Il secondo tiro è da dimenticare ( un traverso muschiato), il terzo tiro è abbastanza facile. Sul quarto c'è il tettino che fa penare i primi. E il quinto per la mia cordata lo apro io.  Caspita, sulla parte finale c'è della roccia strana, sembra costruita... infatti sono i mattoni del castello di Speronella.

Siamo fuori. Che soddisfazione! all'arrivo stretta di mano agli amici , cari e rari, con cui ho diviso questa avventura.

Cambio maglietta e bagno alla fontanella sotto il Pendice e cena alla pizzeria "Al Veliero " di Bresseo.  Ci accettano anche se arriviamo spettinati e poco eleganti e non è la prima volta.

ps : post scritto a 10 mesi di distanza. Emozione e Soddisfazione difficili da dimenticare.

martedì 13 settembre 2011

9 Settembre 2011 - Ferrata delle Trincee da passo Fedaia

Venerdì di ferie. Calda giornata di Settembre. Tempo previsto : bello. Si va in Dolomiti per fuggire dalla città e dalla noia quotidiana, in cerca di aria pura, di libertà ed emozioni.

Siamo solo io e Tabarez. Di fare una via di roccia da soli ancora non se ne parla. Il rischio di restare incrodati è troppo grosso. Bisogna fare ancora un po' di esperienza.


Decidiamo di fare una ferrata in cresta: la ferrata delle Trincee che Lorenzo mi ha detto essere molto bella.

Saliamo da Passo Fedaia fino a porta Vescovo. All'attacco della ferrata aspettiamo una ventina di minuti ( giusto il tempo di congelarsi le mani). Ci sono escursionisti tedeschi , polacchi e francesi e i primi cinquanta metri ripidi creano un po' di coda. Ed io che pensavo che essendo un venerdì di Settembre non ci sarebbe stato nessuno...

Sarà la Marmolada con il ghiacciao che abbiamo alle spalle , sarà il vento che soffia, il freddo si fa sentire nei primi cento metri di ferrata e come al solito soffro un po' l'acclimatamento.

Ci vuole anche un po' perchè mi passi l'ansia di aver scelto una ferrata difficile. Le relazioni che si trovano su internet, lo so, o sono fatte da gente che non è capace di andare in montagna o da qualcuno che vuole ventarsi sulla rete di aver fatto imprese impossibili, ma le leggo sempre e ogni volta mi faccio influenzare e, timorosa, sono pronta ad aspettarmi delle difficoltà enormi che non ci sono mai. Ci sono solo dieci metri da tirarsi su sul cavo, non 100. La roccia del Padon non è levigata, semplicemente non è calcare e bisogna saper usare i piedi. Assomiglia molto alla trachite di rocca pendice ( è come essere a casa) e i miei scarponi in vibram,anche se un po' consumati, tengono che è un piacere.

Quando la circolazione sanguigna periferica si riattiva sulle mani mi sono rilassata e inizio a godermi il percorso e il panorama. Tabarez era tranquillo da subito, ma del freddo se ne è accorto anche lui ed ha ancora il giubbino addosso.

Ci fermiamo a fare qualche foto e le persone davanti a noi scompaiono. Per tutta la ferrata staremo in compagnia di una coppia di ragazzi polacchi che ci seguono silenziosi.

Il panorama è stupendo, siamo sospesi in aria tra la Marmolada e il Sella. La Marmolada da così vicino non l'avevo mai vista. Il ghiacciaio me lo immaginavo più grande ma è spettacolare, azzurro, grigio e bianco. Sotto di noi si vede il lago Fedaia di un blu cobalto.

Questa mattina, quando siamo partiti da Padova, avevo un po' di sensi di colpa per il lavoro ad essere in ferie con tutte le cose che c'erano da fare. Adesso che sono qui mi verrebbe da spedire una foto a tutti i colleghi e scrivergli che sono dei pirla a stare in ufficio.

Passiamo un ponte di legno sospeso con qualche asse scardinata e dopo un po' siamo in cima alla Mesola e iniziamo a scendere. Quando c'è da scendere in ferrata non è mai piacevole, ma visto che ultimamente sono diventata esperta nell'arrampicare in discesa sul IV e V grado ( questa è un'altra storia) mi viene anche bene.

A mezzogirono e mezzo abbiamo finito la prima parte della ferrata. Qui sarebbe possibile scendere verso il rifugio Padon, ma decidiamo di continuare la ferrata fino al bivacco Bontadini. La giornata è splendia, intorno a noi non c'è una nuvola.

Un caprone ci saluta mentre facciamo una breve sosta merenda.

Il percorso continua lungo la cresta del Padon. A volte siamo sul lato che guarda la Marmolada, a volte sul lato che guarda il lagazuoi, le Tofane. La cresta del Padon è un ottimo posto dove poter studiare la geografia delle Dolomiti.

Sono quasi le tre e le ore di cammino iniziano a farsi sentire. Del bivacco non si vede l'ombra ( se ne starà nascosto fino all'ultimo) e iniziamo a sconfortarci un po'. La galleria che imbocchiamo è abbastanza lunga e crea un po' di suspance, ma all'uscita arriviamo al bivacco. Ci siamo !

Sono le tre del pomeriggio e finalmente si pranza. Pane alle noci del panificio Garbo della Guizza (raccomandato) e grana. Nemmeno un re mangia meglio.

Ci dirigiamo verso il rifugio Padon dove ci aspetta una fetta di torta galattica e dove raccolgo informazioni sulla ricetta della Linzer Torte.

Ultima discesa fino al Fedaia. Passeggiata romantica lungo il lago fino alla macchina per concludere la giornata. Il Civetta è bellissimo illuminato dal sole del tardo pomriggio.

mercoledì 7 settembre 2011

7 Settembre 2011- La cartolina del Rifugio Taramelli

Continua la saga sui Monzoni. Questa sera, sorpresissima è arrivata la cartolina del Rifugio Taramelli che il gestore aveva promesso di spedirmi quando siamo passati di lì a luglio, visto che le cartoline le avevano finite.



Un dei motivi per cui mi piacciono le persone che lavorano e vivono in montagna. Nel mio immaginario vivono una vita più concreta fatta di piccoli gesti tutti pieni.


Grazie per questo gesto. Grazie per la promessa mantenuta.

martedì 23 agosto 2011

20 - 21 agosto 2011 - prima via alpinistica autogestita sulla cresta di Costabella

Molto spesso, quando si deve rinunciare ad una cima o a percorrere l'itinerario che ci si era prefissati ci si dice per rincuorarsi "tanto la montagna è sempre là, torneremo un' altra volta" ma si resta sempre con un po' d'amaro in bocca.

Questo è il caso in cui è valsa la pena rinunciare ad una meta con il brutto tempo per tornare nello stesso posto con una bellissima giornata di sole senza una nuvola ( la prima, piccolissima, è comparsa all'orizzonte nel pomeriggio).


L'avventura comincia un giovedì sera a casa mia davanti ad una coppetta di gelato dove decidiamo di ritentare il sentiero attrezzato Bepi Zac sulla cresta di Costabella sopra passo San pellegrino.


Spargiamo la voce ma poco perchè questa volta, con tempo splendido, vogliamo fare tutto il giro completo anche quello finale classificato difficile.

Ci ritroviamo solo in tre io Lorenzo e Tabarez.


Saliamo la sera prima al rifugio le Selle, romanticamente dedicato a tutti i vagabondi della montagna.


Ottima cena. I ricordi di quella sera : la cameriera russa, o giù di lì, simpaticamente mi rimprovera ad ogni portata perchè sono sempre l'ultima a finire : la minestra d'orzo, la frittata e pure il dolce; tramonto rosso in dolomiti, il sole cala dietro le torri del Vaiolet dopo averle accese di fuoco;una lunga chiacchierata con Floriano, il gestore del rifugio, che ci mostra le foto storiche in bianco e nero recuperate dagli archivi militari austriaci e ci racconta le storie tragiche di giovani ragazzi per non dire bambini che sono morti per un'ingiusta guerra proprio su questa cresta.


La notte facciamo fatica a prendere sonno. Dalla finestra della camera vedo un cielo stellato di quelli che in città non esistono e aspetto una stella cadente, ma fino alle tre conto solo una ventina di aerei. Con gli arei i desideri non valgono e infatti a me e a Tabarez non ci richiameranno al corso roccia.


Al mattino successivo, dopo una colazione sfarzosa, partiamo per il sentiero attrezzato Bepi Zac.


E' una giornata splendida e arrivati sulla cresta con poca fatica il panorama si amplia enormemente.


Penso che vediamo tutte le dolomiti del Veneto e del Trentino insieme. Latemar, Catinaccio, Sasso Lungo e Sasso Piatto, le Odle il Sella, la Marmolada da Sud , e poi il Civetta il Pelmo, l'Agner, le Pale di San Martino e quelle che non ho nominato è solo perchè la mia ignoranza non permette di essere certi che fossero proprio quelle, ma c'erano.


Lorenzo, come al solito, ripete " che bello" ogni tre passi.


Lungo il percorso vediamo quel che resta dei baraccamenti austriaci e dei posti di vedetta costruiti durante la guerra. Le sensazioni generate dall'imponente panorama mozzafiato delle cime che ci circondano contrastano con quelle provocate dalle montagne bucate dagli uomini per osservare e uccidere altri uomini. Dentro una caverna c'è persino un dormitorio per i soldati conservato così com'era nel 1916 con i due piani di brande di legno. Freddo e ammuffito. Gelo nello stomaco.


Il sentiero attrezzato Bepi Zac si infila poi all'interno nel Sasso di Costabella , un masso enorme bucato e scavato durante la guerra dagli Italiani che avevano creato qui dentro il loro osservatorio sulla zona circostante. Oggi all'interno è stato creata al suo interno una mostra fotografica permanente "guerra alla guerra" con foto anche cruente sottotitolate da pensieri anche sarcastici contro la bestialità della guerra.


Non scendiamo per forcella Ciadin verso il passo (giro abituale per chi fa la Bepi Zac) ma proseguiamo in direzione Cima Uomo per un sentiero attrezzato poco su cengia esposta. I miei pensieri sugli orrori bellici vengono sostituiti velocemente dai pensieri di non scivolare giù per il burrone sottostante. E' bastato un cartello "sentiero alpinistico per esperti" a farmi pensare che forse non sono abbastanza alpinista per procedere e paleso i miei timori ai compagni di gita che, fingendo di darmi retta, mi dicono di andare avanti un po' che casomai poi si torna indietro. Ma dopo un muro di cinquanta metri attrezzato dove si sale facendo aderenza capisco che di lì non si torna indietro ed è meglio continuare godendosi il panorama stando attenti a dove si mettono i piedi.


Il sentiero è ricco di sorprese alpinistiche e mette a dura prova i miei nervi poco saldi. L'ambiente è severo. Saliamo per un canalone friabile in ombra. Non si vede dove e quando finirà. Speriamo solo che la progressione non diventi più difficile di così se no sono cavoli amari. La salita, un po' inquietante ma alla fine divertente perchè mette alla prova le nostre pseudo capacità arrampicatorie, termina su una forcella panoramicissima che ci porta ad un bellissimo terrazzo vista Sella in primo piano ( uno degli spettacoli più belli sulle Dolomiti che mi sia mai capitato). Mi sono rincuorata, ora si vede una bella traccia chiara del sentiero e individuiamo anche forcella Uomo dove dobbiamo arrivare anche se è un po' più lontana del previsto. Il cielo continua ad essere completamente libero di nubi e quindi possiamo stare tranquilli. Che meraviglia questo posto. Siamo in cima al mondo e siamo da soli. Non c'è anima viva. Foto per festeggiare. A questo punto si sale ancora dolcemente e poi si scende sul friabile ma non troppo esposto. Il sentiero attraversa una cengia strettina e franosa sotto delle guglie altissime ( torre California è quella più grande di 50 metri). Ultima salita e raggiungiamo Forcella Uomo. Foto di rito.


Siamo raggiunti da un gruppo di quattro persone di Trento uno dei quali è del soccorso alpino e ci fermiamo tutti sotto un riparo di legno in cerca di ombra. Io e Lorenzo siamo troppo stanchi per pensare di fare anche la Cima uomo. Glauco si adegua senza troppi ripensamenti. L'unico che sale è quello del soccorso alpino. Chiacchieriamo con gli altri tre finchè mangiamo qualcosa e scopriamo che sono di Cles ( ultimamente conosco solo gente di Cles, vedi Speck) e uno di loro apre una mela a metà con le mani ( come Trinità!!). Io e Lorenzo l'abbiamo pensato entrambi subito ma ce lo siamo detti dopo.


A questo punto le fatiche dovrebbero essere finite e ci dovrebbe essere la discesa su ghiaione. Peccato che il ghiaione comincia 300 metri dopo e prima c'è quello che era un ghiaione cento anni fa o meglio sono pietre grosse ricoperte di sassi friabili su una pendenza di 45 gradi. Forse esagero ma per un attimo, anche due, ho pensato che forse invece di scendere era meglio rifare all'indietro tutte le 6 ore di cammino !!


Mando avanti Lorenzo, il più alpinista dei tre e lo seguo a debita distanza. Ogni passo che fai si muovono sassi e non sai se andrai a valle con loro o resterai in piedi. In un tempo che sembra interminabile e intervellato da qualche mio urletto quando mi franano i piedi, arriviamo alla salvezza : un bellissimo ghiaione di sasso fine dove si scia che è un piacere e, qualche tombolone a parte dovuto all'eccessiva velocità, arriviamo ai prati. Ci giriamo indietro. Forcella uomo è 800 metri sopra di noi e ci sembra impossibile essere scesi di lì.


Resta l'ultimo sforzo sotto un caldo cocente fino alla macchina. Oggi il sole non ha mai smesso di picchiare. Gli effetti si sono visti su Lorenzo quando ha iniziato a boxare sulle reti delle piste da sci chiuse.



Chissà quando mi ricapita un impresa del genere!



Le foto: Il primo giorno al rifugio Le Selle , Il sentiero attrezzato Bepi Zac, il sentiero alpinistico.




giovedì 21 luglio 2011

17 luglio - Gruppo dei Monzoni da Passo San Pellegrino

Eravamo partiti da Padova alle sei di mattina verso Passo San Pellegrino per fare il sentiero attrezzato Bepi Zac , che parte dal passo delle Selle a 2500 metri e sale lungo la cresta di Costabella. L'obiettivo era quello di arrivare fino a Forcella Uomo e quindi avevamo anche la corda per attrezzare se necessario.
Obbiettivo impegnativo. Tutti convinti ( quasi tutti). Qualcuno aveva già brontolato per l'alzataccia e invece di partire alle 6, come da programma, era partito mezz'ora dopo correndo in autostrada in barba agli autovelox e aveva anche dichiarato che per eliminare dislivello e recuperare tempo avrebbe preso la cabinovia.
Io, la cabinovia ? " Mai. Se si fa , si fa tutta a piedi. "




Ad Agordo troviamo un po' di confusione perchè consegnano i pettorali per la Transcivetta che credevo una gara per pochi eletti, ma dal numero dei partecipanti non sembrerebbe. Forse al mondo ci sono più superman che comuni mortali.
La pasticceria non ci tradise però nemmeno questa volta, nonostante la ressa. Meglio un krafen alla marmellata che una barretta energetica.



Partiamo in quattro ( io, Tabarez, Ale e Tabani) dal passo San Pellegrino. Alri due ci raggiungeranno con la cabinovia da Costabella al passo delle Selle. Attorno a noi, tranquille vacche di montagna molto belle e con le ciglia lunghe ci guardano. Andrea ha i pantaloni rossi ma non c'è nesun toro che lo carica.
In alto nuvoloni neri posizionati esattaente sulla cresta di Costabella....



Al passo delle Selle scopriamo che la sera prima ha grandinato copiosamente e ai bordi del sentiero ci sono ancora dei mucchi di ghiaccio che sembrano appena usciti dal frezeer. Il gestore, al quale chiedo un parere dopo essermi imbragata, ci sconsiglia la salita, visto il tempo, e così , un po' demoralizzati, apriamo la carta topografica in cerca di qualche ripiego ( mi riprometto che la prossima volta verrò in montagna solo con alta pressione e sole previsto su tutte le alpi, promessa mai mantenuta sinora).
Sulla carta si vede il rifugio Taramelli e la passeggiata verso il rifugio sembra non troppo corta. Arrivati lì, in base al tempo e al nostro spirito, decideremo cosa fare. Ancora non sappiamo quale splendida avventura ci riserva questa meta alternativa.
Iniziamo a scendere nella valle di Monzoni per un sentiero ripido. La zona è ricca d'acqua . Ci son cascate a destra e a sinistra. Proseguendo nella discesa, ad un certo punto, vediamo il rifugio di pietra e fatto a cubo, chiuso nella valle. Visione da favole. Credo di aver fatto la stessa espressione di Biancaneve quando ha visto nel bosco la casa dei sette nani. Inizio a pensare che la sveglia alle cinque non è stata inutile, nonostante la rinuncia all'obbiettivo iniziale.



Al Tarmelli non hanno le cartoline per la mia raccolta e così lascio al gestore 2 euro e il mio indirizzo facendomi promettere che mi spedirà la cartolina a Padova. Oggi è il 15 di Agosto e non è ancora arrivato nulla ma sono fiduciosa nella bontà del gestore.
E' solo mezzogiorno e pensare che la mia escursione finisce qui e che dopo pranzo rifacciamo il percorso a ritroso non mi sta bene. Nemmeno un giro ad anello ????
Dalla carta sembrerebbe possibile proseguire fino al rifugio Vallaccia ( mt. 2275.) salire fino alla foreclla la Costella ( mt. 2510) e poi ridiscendere un po' sotto il passo San Pellegrino in direzione Moena , forse un po' più vicino a Moena che al passo ma si potrebbe risolvere con l'autostop per riprendere la macchina.
Due dei miei amici, quelli della cabinovia, hanno fame e uno ha anche mal di testa e quindi non se la sentono di fare il giro ad anello, ma Michele, generosmente, si offre di venirci a riprendre all'uscita del sentiero a Ronc di Fassa con la macchina. Noi quattro rimasti, a questa frase, ci scambiamo una rapida occhiata e quindi Ale esclama " Beh , se è così allora possiamo davvero provarci". In tre secondi abbiamo già gli zaini in spalla e correndo salutiamo e auguriamo buon pranzo e buon ritorno !! Ci vediamo a Ronc di Fassa.




Il sentiero verso il Vallaccia non è molto ripido per cui teniamo un bel passo sostenuto. Sulla strada incrociamo una serie di casette di legno attrezzate a bivacco. Bello, da farci un pensierino a ripassare di qui. In 45 minuti siamo al Vallaccia ed è persino comparso il sole. Il rifugio è di legno con gli infissi rossi e dentro è caldo ed accogliente. Peccato non potersi femare più a lungo. In ogni caso hanno la cartolina per la mia raccolta.



Breve pausa e quindi si punta alla forcella. Il sentiero si fa più impegnativo. Ci mettiamo il casco per passare sotto il paretone di punta Vallaccia. Scaliniamo sulla grandine del giorno prima impaccata come neve ghiacciata. Tabarez vince la sfida per la forcella e arriva primo. In cima tira una bella aria ma ancora non piove.



Foto di rito anche perchè da qui inizia la discesa e le difficoltà dovrebbero essere finite. E invece... ecco la prima sorpresa. Dalla carta il nostro sentiero dovrebbe scendere più meno verticalmente a zig zag dalla cima e invece il segnavia indica di prendere a sinistra. Proviamo a seguire la labile traccia indicata dalla tabella ma questa finisce nel niente perciò ritorniamo alla forcella e tirata fuori la bussola e orientata la carta decidiamo di scendere. Dopo una cinquantina di metri iniziamo a vedere dei segni bianchi e rossi che ci danno la conferma di aver preso la strada giusta.



Il sentiro procede su terreno sconnesso dagli scavi delle marmotte che nascoste fischiano in continuazione. Pericolo oggettivo della montagna: "possibilità di cadere dentro un buco di una marmotta" ai corsi non te lo insegnano ma qui è proprio così.



Il sentiero non è molto segnato, ma più o meno capita la direzione, ci siamo orientati con la bussola e la carta. Bellissimo l'incrocio con altri sentieri dove c'era il palo con tutti i segnavia attaccati tranne il nostro che era per terra.


Incontri ravvicinati con marmotte a iosa e ad un certo punto verso il limitar del bosco con mucche e cavalli ed infine anche con un cerbiatto che ci guradava dall'alto curioso.


Ore 15 e 30 suona il mio cellulare in fondo allo zaino. E' Michele che è già arrivato al passo San Pellegrino per sapere a che punto siamo. Non ne ho la più pallida idea ma mento spudoratamente per paura che non ci aspetti. "Siamo già nel bosco sui 1700 metri , fra mezz'ora arriviamo all'uscita del sentiero."


Dopo dieci minuti troviamo un cartello che indica "ronc di fassa 50 minuti". Un acceleratina finale, qualche goccia di pioggia e non ci hanno aspettato neanche più tanto.


Grazie a tutti, anche questa volta è stata un'avventura stupenda.

Il link del percorso rilevato con il GPS.