giovedì 26 agosto 2010

5-6 agosto - Sulle Tofane con il brutto tempo

5 e 6 agosto sono le date concordate per salire sulla Tofana di Roches. In cinque siamo riusciti a prendere ferie.
Quando la data si avvicina e controlliamo le previsioni meteo, capiamo che sarebbe stata un’impresa tentare la cima: perturbazione atlantica sulle Alpi con pioggia e abbassamento della temperatura sotto la media stagionale, che significa neve a 3000 metri.
Nonostante questo e nonostante la teoria del CAI che vuole che con il brutto tempo si stia a casa, abbiamo deciso di andare lo stesso. Il rifugio era prenotato e comunque era un’occasione per passare un week-end tra amici.

Giovedì 5 mattina alle 8 e 30 al rifugio Dibona non pioveva anche se c’erano nuvole nere ovunque, la Tofana non si vedeva e la notte precedente c'era stato il diluvio universale.
Appena sopra il Dibona c’è il facile sentiero Anstaldi. Un percorso attrezzato su una cengia esposta dopo una notte di pioggia non è una delle cose più sensate che si possa fare ma l’idea piace a tutti e si va.
Dopo venti minuti di escursione nel fango, ci mettiamo imbrago,set e casco che sarà utile anche in caso di pioggia e ci assicuriamo al cavo. La parete è fatta di strati colorati, dal viola al rosso al giallo, al bianco , al grigio verde. Sono gli stati impermeabili di raibl, vecchie isole del mare preistorico, su cui poggia la dolomia principale. Se con noi ci fosse stato Gianni Frigo ci avrebbe parlato per un ‘ora della storia geologica di questa parete, ma visto che siamo tutti ignoranti, ci limitiamo ad ammirarla e a toccarla stupiti. Ogni tanto dalla parete scende una cascata d’acqua. Per terra calpestiamo terra rossa che sembra quella di un campo da tennis. Sotto di noi un capriolo ci guarda. Ce la prendiamo comoda e scattiamo un bel po’ di foto. Oggi, visto il tempo non andremo lontano.
Percorriamo tutta la cengia fino ad un bivio e seguiamo le indicazioni per il Rifugio Pomedes sotto punta Anna e la Tofana di Mezzo completamente in mezzo alle nubi. Facciamo appena in tempo ad arrivare, che inizia a piovere. Aspettiamo sotto una tettoia davanti al rifugio. Magari smette. Invece no, inizia a piovere più forte. Magari si sfoga e poi smette. Invece si alza il vento e la pioggia inizia a bagnarci. E se prendessimo qualcosa di caldo in rifugio? Sarebbe anche mezzogiorno passato. Il tempo che spiova , no?
In Rifugio, non c’è nessuno oltre a noi. C'è il rischio che non ci facciano nemmeno da mangiare invece impietositisi ci fanno sedere e ci portano il menu. Anche considerando che siamo sopra Cortina in un rifugio privato raggiungibile in seggiovia, i prezzi sono esageratamente alti. Per la modica cifra di 10 euro riusciamo a mangiare due canederli, un vero furto. Almeno siamo all’asciutto, non al caldo perché questi taccagni non ci pensano ad accendere la stufa.
Fuori, il tempo è sempre peggio. Giochiamo a carte per un paio d’ore e consultiamo una guida in tedesco ( quelle in italiano erano finite) sulle più belle ferrate delle dolomiti dove vediamo solo immagini scattate con il sole.
Stufi di star seduti , paghiamo il conto. Ci vestiamo e usciamo sotto la pioggia per tornare al rifugio Dibona. Lorenzo, sfodera un poncho che farebbe rabbrividire il direttore Adriano, ma Adriano non c’è e piove troppo per immortalarlo in una foto. Cercando di non scivolare, in pochissimo tempo arriviamo al Dibona dove ci aspetta una bella doccia calda.
Propongo una passeggiata nel bosco per aspettare la sera, ma tutti bocciano la mia proposta. Dopo la doccia, siamo ancora seduti , ma qui possiamo permetterci anche una birretta e poi troviamo un fantastico gioco per aspettare la cena :
jenga ! ( Questo gioco riscuoterà così successo che Lorenzo non esiterà a comprarne una scatola ad Arabba la settimana successiva. N.d.r.)

Cena favolosa al rifugio e alle 20 e 30 arriva anche Mauro da Padova mentre fuori continua a diluviare. Sperando che domani non piova e che faccia un po' più caldo, andiamo a dormire.

6 agosto, ore 6 e 30. Non piove e sembra esserci anche il sole. Solo qualche nuvola sulle cime più alte. Fa decisamente freddo e il baroametro segna ancora mal tempo in arrivo, ma noi siamo decisi.
Affronteremo la ferrata Lipella. Si può salire fino alla via di fuga alle tre dita in circa quattro ore e poi decidere lì se salire ancora oppure scendere.

Sul sentiero di avvicinamento incrociamo due escursionisti inglesi che vengono dal Lagazuoi e ci dicono che questta mattina lì ( 2800 metri) c'erano neve e ghiaccio. Siamo arrivati sotto le parteti e stiamo decidendo se metterci il casco o meno, che sentiamo un gran rumore di sassi che cadono dall'alto. I sassi non arrivano fino a noi ma la tensione sale. Ci mettiamo il casco e stiamo in silenzio per quindici minuti. All'attaco della ferrata siamo in ombra e fa molto freddo. Sbaglio cinque volte il nodo fettuccia per chiudermi l'imbrago. Non sono molto tranquilla perchè una parte di me sa che il buon senso avrebbe voluto che fossimo andati da un'altra parte, che la montagna è sempre lì, che non si può scherzare etc....Ma perchè ho fatto i corsi CAI? Queste cose è meglio farle inconsapevoli e a cuor leggero!

Le scale di ferro che portano alla galleria del castelletto sono bagnate e fredde. I miei guanti non sono impermeabili e mi ghiaccio subito le mani. La galleria è completamenente bagnata e per non scivolare è bene tenersi al cavo freddo. Ho dieci minuti di sofferenza pura da freddo. Le mani non le sento più e poi quando inizia a circolare il sangue, mi viene mal di stomaco e nausea. Tea e liquirizia mi salvano, ma la mia condizione psicologica è peggiorata.

Dopo mezz'ora usciamo dalla galleria e siamo ancora in ombra e soffia vento, ma tutto sommato sto meglio. La ferrata corre tutt'attorno a questo paretone gigante e verticale di roccia dolomia scura e bagnata. Cascate d'acqua scendono dall'alto proprio nei punti in cui si deve far cambio di fittone e ci laviamo in continuazione. Nella notte è nato anche il lago di Roches e dobbiamo guadarlo ( per fortuna Tabarez, previdente, aveva messo l'impearmibilizzante agli scarponi la settimana scorsa). Comunque non siamo i soli deficienti. Troviamo anche altra gente, tra cui due superman che hanno il set da ferrata ma che non lo usano per essere più veloci. I più defiicienti di tutti.

Dopo circa quattro ore arriviamo al bivio delle tre dita, qui si può salire alla cima o scendere verso il rif. Giussani, ma nel frattempo ha iniziato a nevicare, tira un bel po' di vento freddo e la cima è immersa nelle nuvole. I ramponi non ce li ha nessuno e la scelta è obbligata, si scende. Peccato, quasi mi sentivo a mio agio su questa parete umida e il mio fisico si era abituato al freddo (anche le mani).

Salutata la cima della Tofana di Roches, che non si vede, mi accorgo che siamo in un posto selvaggiamente meraviglioso. Siamo alle tre dita, sotto di noi la valle del Masarè e di fronte a noi la Tofana di Mezzo e la Tofana di Dentro imbiancate. Sta nevicando e ci mettiamo a cantare Jingle Bells.

Scendiamo verso il rifugio Giussani ed entriamo a scaldarci. Il rifugio è caldo e accogliente.

Dopo una pausa con torta scendiamo ancora più a valle saltando dentro un ghiaione e arriviamo al Dibona.

Per questa volta obbiettivo mancato, ma sono stati due giorni indimenticabili.
Aspetto proposte per andare a ritentare la cima!

mercoledì 28 luglio 2010

6 giugno 2010 - Arco - Placche Zebrate - Man-ilia

Arco - Placche Zebrate. Posto mitico per chi arrampica. Un parcogiochi di calcare dove il gioco è l'aderenza, un paretone di 600 metri nella valle del Sarca proprio sopra il lago di Garda. Ma come ci siamo finiti noi sotto le placche zebrate ?
Avevamo raccontato a Renato delle nostre piccole esperienze di arrampicata, forse gliene avevamo parlato con troppo entusiasmo, quello di chi ha appena cominciato e ha voglia di spaccare il mondo e così domenica mattina alle 8 ci siamo trovati in macchina direzione Arco.
Non avevamo idea delle sorprese che ci avrebbe riservato la giornata.
In macchina Roberta tira fuori la guida della falesia e ci chiede cosa vogliamo fare. Io sfoglio il libretto e leggo: Opera Prima -100m - 5b, Via della mimosa -100 m 7c, Donne in cerca di guai 120m -5b , 46° parallelo -180 m -4c....
Qualcosa non mi torna, ma penso che si può sempre fare il primo tiro e poi scendere e riprovarne un altro. Alle numerate di Rocca Pendice si fa così, no? Ma lo tengo per me.
Fermiamo la macchina nel parcheggio del bar "le placche Zebrate" che è proprio di fronte alle parete, dall'altra parte della strada e facciamo colazione.
In macchina prendiamo imbrago, corda casco, rinvii e altro materiale. Renato ci chiede quanti cordini abbiamo e se abbiamo la piastrina e qui c'è una altra cosa che non mi torna. Io a Rocca alle numerate , i cordini non li ho mai usati e nemmeno la piastrina, ma per fortuna ce li ho. Magari oggi imparerò qualche manovra nuova.
Di nuovo la domanda " allora ragazzi che via facciamo oggi? ".
beh cominciamo con un tiro qualsiasi non proprio difficile, dico io e poi vediamo e così decidono che si parte con Man-Ilia che capirò dopo perchè si chiama così.

Attraversiamo un sentiero nella pineta, mi sembra di essere a Lignano. Fa un caldo disperato e sudo l'impossibile per camminare 10 minuti. Ad un certo punto Renato suggerisce di mettersi il casco e così guardo in alto dove vedo da vicino il paretone dove dovremo salire. Inizio a sudare ancora di più.

Il patto è questo. Facciamo il primo tiro vediamo come va e poi decidiamo se andare più su o scendere. Renato dice che fare un tiro o farne sei è lo stesso e anche se la cosa non mi convince più di tanto, la prima lunghezza , al di là della tensione e del caldo è abbastanza facile.
Siamo due cordate. Renato e Tabarez portano su la corda.
Quando Renato arriva al secondo rinvio della via ( circa 10 m ?. Si vede che ad Arco gli spit costano moltissimo), Tabarez parte e Renato gli da qualche indicazione sulla linea da seguire. Io e Roberta saliamo per seconde. Tabarez sembra non avere tentennamenti ed è sicuro. Io ho la corda dall'alto che psicologicamente aiuta molto. Il primo tiro è un terzo grado e non ho mai dubbi su dove mettere piedi e mani, perciò quando Renato chiede se ce la sentiamo di proseguire, diciamo di sì senza esitazioni. Così, lentamente saliamo. Sono così rilassata che anche in sosta non tolgo mai le mani dalla roccia nonostante gli sfottò dei miei compagni. Primo, secondo, terzo tiro e finalmente arriviamo in un terrazzino comodo. Siamo a 90 metri da terra e per la prima volta guardo in basso. Se guardo sotto sotto fa un po' impressione, ma se guardo un po' più in là, vedo il bosco, la strada, il lago, cavolo, perchè non siamo andati al lago oggi?
Beviamo un po'. Io aspiro come un'idrovora la mia bottiglietta di acqua e sali. Mi ricarico un po'.

Si riparte, siamo a metà ormai ma qui.. inizia il difficile. Renato avvisa che ci saranno un paio di passaggi leggermente più complicati e parte. In effetti , qui la parete è un po' liscia. Ci sono dei tratti da fare in aderenza e non è così facile fidarsi. Sono un po' in apprensione per Tabarez e stringo fortissimo la corda. Gli spit sono lontani. Su 40 metri non usiamo nemmeno 10 rinvii. Adesso capisco a cosa servivano i cordini. Renato quando può, li infila nelle clessidre naturali della roccia e il rinvio lo passa anche lì.
Salgo da seconda e dovrei avere una corda bella tesa dall'alto, e invece capita che la corda me la trovo che fa un ansa sotto di me. Tabarez recupera la corda!! Ma proprio oggi doveva imparare a recuperare con la piastrina ? Renato dagli un occhio!
Quarto tiro fatto.
Il quinto, non finisce più. Sono cinquanta metri. E' divertentissimo ,però, perchè per i piedi non ci sono molte prese ma ci sono delle maniglie bellissime per le mani. In ogni caso ho magnesio ovunque, non solo sulle mani, ma anche sui vestiti e sulla faccia. Posso tenermi su con qualsiasi cosa.
Al sesto e ultimo tiro, c'è un dietro da affrontare che Roberta definisce buono per il marmo del santo. Io e Tabarez stanchi facciamo un po' di casino con i rinvii e lui parte senza. Ma Roberta suggerisce di usare quelli che ha già messo Renato e così siamo salvi.
All'uscita della via, Tabarez è velocissimo e faccio una fatica incredibile a far sicura con il mezzo barcaiolo e mi pizzico le dita almeno sette volte.
Alla fine siamo fuori tutti. Finisco tutta l'acqua. Gli altri mangiano. Io ho lo stomaco ancora troppo chiuso.
Per scendere un sentiero ripidissimo, scivolossimo e molto più pericoloso dell'arrampicata.
Tabarez ha una faccia stranissima e dopo un po' mi dice " Io non ho avuto paura".
Io mi sento invece come Forrest Gump che senza capire perchè è diventato un'eroe. Anch'io ho semplicemente corso.

Sosta per coca gigante al bar "le Placche Zebrate", dove scopro che esiste un libro dove si può lasciare una dedica. Una sorta di libro di vetta. Me lo leggerei tutto, ma c'è poco tempo. Si torna a casa.

In sentesi: Man-Ilia 220 m. 6L 4c. La mia autostima è in forte crescita. Io e Tabarez resteremo in una sorte di trance mistica per tutta la settimana successiva.

Un grazie sincero a Renato e Roberta. Chissà quando ci ricapita.


martedì 22 giugno 2010

5 giugno 2010 - ferrata Sass Brusai a cima Boccaor

In una giornata che doveva essere di sole, partiamo con alcuni amici alla volta del Grappa, per fare la ferrata Sass Brusai, classificata dalle guide come difficile ma abbastanza breve.
Siamo io, Tabarez, Andrea e, a sorpresa Alfredo, che troviamo al mattino alle sette davanti al parcheggio di Crema Sport.
Prima tappa ( un classico) Romano D'Ezzelino al bar delle belle ragazze. Io sono l'unica donna del gruppo quindi non posso dire la mia in questo caso.
L'auto la lasciamo al parcheggio del rifugio San Liberale dove oltre allo zaino, indossiamo anche uno strato di Autan in quanto ci hanno detto che la zona è infestata dalle zecche e non vorremmo portarcene a casa qualcuna.
Si vedono un po' di nuvole sulle cime, ma il meteo dice solo foschia al mattino che si dovrebbe diradare in giornata. Ovviamente il meteo si sbagliava e le nuvole resteranno piazzate dove le abbiamo viste per tutta la durata dell'escursione.


L'umidità è del 90% e fino all'attacco della ferrata sudiamo l'impossibile. Finchè ci mettiamo imbrago, set da ferrata e caschetto ci passa il solito superman che grazie ai suoi superpoteri non ha bisogno dell' attrezzatura. Per fortuna non si schianterà da nessuna parte se no ci toccava soccorrerlo.

La ferrata parte tosta, o meglio parto io titubante e quindi all'inizio faccio un po' fatica, ma bastano dieci minuti per prendere confidenza con il sentiero. Il percorso è proprio divertente e facciamo a gara per non utilizzare il cavo, anche se il metro a disposizione del set da ferrata non permette tutta la fantasia che si vorrebbe nell'arrampicata. Domani andrò fare una via di roccia per appagare la mia fantasia.
Sull'ultimo tratto ci facciamo superare da una coppia di Inglesi stufi di sentirli ansimare alle nostre spalle. Lasciamo traccia sul libro di via e ci fermiamo sulla cima a mangiare qualcosa. Io non mi siedo al pensiero delle zecche.

Andrea ci mette 15 minuti a trovare una posizione della macchinetta per l'autoscatto che dobbiamo ancora vedere.

Al ritorno, completamente immersi nella nebbia, disquisiamo di quale colore sia la lancetta della bussola che segna il nord ( per la serie 200 euro buttai via dei corsi CAI) ma alla fine troviamo il sentiero giusto.

Per tutte le note tecniche della ferrata e del sentiero aspetto gli appunti di Andrea, che ha scritto sul suo libricino tempi, difficoltà, deviazioni e via di fuga. Almeno spero, perchè altrimenti si è segnato tutte le scemenze che abbiamo sparato durante la giornata.

martedì 15 giugno 2010

Diario del XII corso escursionismo avanzato CAI Padova















Visto che mi stanno pubblicando su siti ufficiali, vi rimando direttamente al link del CAI di padova.

Se riuscissi anche a farmi pagare per le boiate che mi diverto a scrivere, sarebbe il massimo.

martedì 25 maggio 2010

22 - 24 Maggio 2010, Alta Val Di Susa

in attesa del racconto, pubblico il video di vetta sui Denti di Chiomonte

venerdì 12 marzo 2010

6 Marzo 2010 - Fondo a Forte Cherle

Per concludere la stagione sciistica, quasi nemmeno cominciata quest'inverno, abbiamo pensato di fare un giretto sulle piste di fondo a Forte Cherle.
Tra Veneto e Trentino, vicino a casa, ci sono piste da fondo ben più vaste con collegamenti di 60 km, Enego, Gallio e poi ancora MilleGrobbe e Passo Coe, ma Forte Cherle , con solo 15 Km di piste ha un fascino tutto particolare, fa parte di quella montagna dimenticata lontana dal turismo di massa dove il tempo sembra essersi fermato a trent'anni fa.

Gli impianti si trovano presso l'albergo forte Cherle gestito dalla signora Carla e dalla sua famiglia. Il noleggio sci è dietro l'albergo, nel garage di casa e gli scarponi li tengono in uno sgabuzzino riscaldato.

Il biglietto per le piste costa 4 euro. L'ingresso è una casetta sulla strada che collega Tonezza a Folgaria ma sulla strada non passa una macchina, perchè d'inverno dopo le nevicate viene chiusa a causa delle scariche di neve e sassi della montagna e solo chi ama veramente questo posto sale per Lavorone raggiunge quasi Folgaria per venire qui.

E' sabato e ci sono sì e no quindici persone. La giornata è splendida. Cielo pulito, temperatura sotto zero, vento freddo. Pista quasi completamente al sole.

Passiamo qualche ora sugli sci e poi andiamo a farci preparare il favoloso panino con lo speck dalla signora Carla e ci sediamo fuori al sole.

giovedì 4 marzo 2010

27 - 28 Febbario - ciaspolata sul Grappa in una notte di luna piena

Ad un anno esatto dalla mitica ciaspolata con Renato sul Monte Altissimo, una nuova avventura sulla neve di quelle che lasciano un segno nella memoria.

Prima della partenza sono un po' preoccupata soprattutto per il freddo che sulla neve non è mai poco, figurarsi quando il sole sarà tramontato. Ho fatto rifornimento di scaldini ( ricaricabili ed usa e getta), messo nello zaino la giacca a vento super imbottita, indossato doppio calzino, maglietta termica, scaldamuscoli, riempito il thermos di tea bollente e ho guanti in tutte le tasche del giubbino antivento. Ma temo che le mie dita congelate mi faranno rimpiangere il mancato acquisto degli scarponi da ghiaccio.

Non ho studiato il percorso, la gita è organizzata dalla sezione del CAI di Padova, ma non mi sembra di ricordare grande dislivello e un lungo percorso dal volantino di presentazione della ciaspolata. Mi sbaglio decisamente perchè alla fine dell'escursione tra andata e ritorno compresi tutti i saliscendi l'altimetro dell'orologio di Tabarez avrà registrato 1100 m di salita. Per fortuna che ero allenata se no schiattavo sulla neve.

Punto di partenza Località Finestron, sul Grappa. Si avanza prima nel bosco fino a superarne il limite e poi si procede tutto in cresta. Il panorama è a 360 gradi e anche se c'è ancora la luce del giorno, in cielo c'è già la luna piena. Dall'alto si vedono le prime luci accese giù nei paesi a valle, dall'altro lato una serie di catene montuose innevate. Manca il mitico Antonio per dirci, cima per cima, cosa stiamo vedendo. Chissà cosa sta facendo Antonio, è tantissimo tempo che non lo vedo.

Siamo un gruppo numeroso. Ci sono sempre quelli che hanno fretta sono in testa e corrono e quelli che vanno pianino. Il gruppo non viene quasi mai ricompattato e alla fine i primi arriveranno in rifugio quasi con un'ora di distacco.

Io preferisco stare dietro, andare con calma, chiacchierare con Rita, ascoltare Calibabà che racconta di aver fatto quella stessa mattina sessanta chilometri in bicicletta, prendere in giro spett. Adri che continua a scattare foto con il cellulare come se poi venisse fuori qualcosa.

In cresta il vento si fa sentire, freddo, tagliente, ma tiene lontane le nuvole. Arriviamo alla cima del Monte Asolone e inizia a calare il sole. Qualcuno accende la pila frontale.
Che strana sensazione camminare sulla neve con la luna piena. Quiete, silenzio, pace. La testa si svuota di tutti i pensieri, svaniscono le ansie quotidiane e resta solo lo stupore per quanto sia bella la natura.

Siamo alla salita finale, ovviamente la più ripida. Ormai è buio. Più di qualcuno comincia a cedere alla fatica. Finalmente si vede il rifugio Bassano illuminato. Entriamo, iniziamo a scaldarci. Una fetta di torta gigante e una cioccolata calda. Il camino acceso. Che meraviglia! E coincidenza: qui come all'Altissimo ci sono le vipere sotto grappa. Solo che questa volta nessuno beve la grappa.

Poco più di un'ora di pausa e dobbiamo uscire per scendere fino al parcheggio delle macchine e tornare a casa. Al ritorno, ancor più che all'andata, i soliti che devono correre partono a gran velocità con un paio di accompagnatori. Ognuno per sè e Dio per tutti. In fondo al gruppo invece c'è qualcuno che per la stanchezza e per il freddo è un po' in difficoltà e va molto piano. Noi siamo circa a metà e quando arriviamo alla fine del sentiero aspetteremo gli ultimi un'ora. Gli altri, quelli col pepe nel culo, appena arrivano alle macchine se ne tornano a casa. ( Questa cosa non mi è piaciuta per niente. Non ci sta nell'etica della montagna).

Spett Adri quando arriva giù con gli ultimi due della comitiva zoppicanti ha una faccia tutt'altro che entusiasta. Mi sento sollevata quando lo vedo. Stavo quasi pensando di andare a cercarlo. Ora ci siamo tutti. Possiamo andare a casa anche noi.

Bellissima esperienza. Bisognerebbe indire il 27-28 febbraio come ricorrenza per le ciaspolate in montagna dei Mussati.

lunedì 4 gennaio 2010

Su e giù per Monte della Madonna

Preambolo:Questa volta, riguardo al titolo, sono stato abbastanza neutro. Avrei voluto ripetere un più evocativo "La salamandra e il Santo BIS" in quanto anche stavolta avrei potuto citare entrambi i personaggi (Sant'Antonio porseèto e la salamandra) ma le condizioni di quest'ultima (spiaccicata sull'asfalto) mi hanno convinto ad abbandonare l'idea.
Conclusa la doverosa precisazione, vi racconterò delle eroiche gesta di quel volenteroso gruppo di Mussati che il 4 gennaio del nuovo anno ha sfidato un freddo gelido per compiere il periplo di Monte della Madonna, sui colli Euganei.
Il ritrovo degli "Intrepidi" è stato fissato alle 9.30 (poco CAI, ma molto comodo), in via Aita (Aita, chi era costui??non lo sa nessuno, manco Wikipedia, figuriamoci Chiara...).
Partiti alla volta di Rovolon decidiamo, una volta arrivati sul posto, di ingozzarci di brioches e cappuccino al bar del patronato: ottima scelta, considerando la cortesia delle due signore, la bontà della crema e il tepore del bar!
Subito (alle 11.00, con molta calma...) iniziamo il cammino lungo il sentiero n. 17 che, attraverso un fitto bosco e su un terreno completamente ghiacciato e duro, ci porta in circa un'ora a raggiungere la cima del Monte della Madonna: impressionante e un po' triste la vista delle mega antenne che lo sovrastano...anche se il cellulare effettivamente prende 143.289,99 tacchette di segnale!
Di lì a poco raggiungiamo il Santuario dedicato a Sant'Antonio porseèto (si chiama così, secondo una tradizione popolare) e, fatta una breve visita della chiesetta e della terrazza panoramica, riprendiamo la nostra via.
Giù di nuovo in mezzo al bosco, lungo l'Alta via dei colli N.1 (o lungo il Sentiero Alpino che in quel tratto la ricalca), ci fermiamo su una panchina per un rapido pranzo: nonostante il tiepido sole facciamo in tempo a congelarci un po' tutti...
Tutti infreddoliti riprendiamo il cammino in direzione della chiesetta di Sant'Antonio: lungo la via, su un tratto roccioso esposto al sole, possiamo osservare stupiti numerose piante di fico d'India! Raggiunto l'obiettivo, ci concediamo un po' di minuti per esplorare la grotta dell'eremita, la chiesetta a lui dedicata e suoniamo la campana in segno di buon auspicio per le future avventure mussate.
Il cammino riparte e in breve raggiungiamo la fine del sentiero e la stradina che ci riporterà alla partenza.
Dentro di noi rimarrà il ricordo di una giornata che, per quanto gelida, ha saputo regalarci grandi soddisfazioni, un cielo terso e panorami stupendi con vista su larga parte dell'arco alpino.
Ah...dimenticavo: al ritorno cioccolata calda con panna: bòna anca quea!!