giovedì 26 agosto 2010

5-6 agosto - Sulle Tofane con il brutto tempo

5 e 6 agosto sono le date concordate per salire sulla Tofana di Roches. In cinque siamo riusciti a prendere ferie.
Quando la data si avvicina e controlliamo le previsioni meteo, capiamo che sarebbe stata un’impresa tentare la cima: perturbazione atlantica sulle Alpi con pioggia e abbassamento della temperatura sotto la media stagionale, che significa neve a 3000 metri.
Nonostante questo e nonostante la teoria del CAI che vuole che con il brutto tempo si stia a casa, abbiamo deciso di andare lo stesso. Il rifugio era prenotato e comunque era un’occasione per passare un week-end tra amici.

Giovedì 5 mattina alle 8 e 30 al rifugio Dibona non pioveva anche se c’erano nuvole nere ovunque, la Tofana non si vedeva e la notte precedente c'era stato il diluvio universale.
Appena sopra il Dibona c’è il facile sentiero Anstaldi. Un percorso attrezzato su una cengia esposta dopo una notte di pioggia non è una delle cose più sensate che si possa fare ma l’idea piace a tutti e si va.
Dopo venti minuti di escursione nel fango, ci mettiamo imbrago,set e casco che sarà utile anche in caso di pioggia e ci assicuriamo al cavo. La parete è fatta di strati colorati, dal viola al rosso al giallo, al bianco , al grigio verde. Sono gli stati impermeabili di raibl, vecchie isole del mare preistorico, su cui poggia la dolomia principale. Se con noi ci fosse stato Gianni Frigo ci avrebbe parlato per un ‘ora della storia geologica di questa parete, ma visto che siamo tutti ignoranti, ci limitiamo ad ammirarla e a toccarla stupiti. Ogni tanto dalla parete scende una cascata d’acqua. Per terra calpestiamo terra rossa che sembra quella di un campo da tennis. Sotto di noi un capriolo ci guarda. Ce la prendiamo comoda e scattiamo un bel po’ di foto. Oggi, visto il tempo non andremo lontano.
Percorriamo tutta la cengia fino ad un bivio e seguiamo le indicazioni per il Rifugio Pomedes sotto punta Anna e la Tofana di Mezzo completamente in mezzo alle nubi. Facciamo appena in tempo ad arrivare, che inizia a piovere. Aspettiamo sotto una tettoia davanti al rifugio. Magari smette. Invece no, inizia a piovere più forte. Magari si sfoga e poi smette. Invece si alza il vento e la pioggia inizia a bagnarci. E se prendessimo qualcosa di caldo in rifugio? Sarebbe anche mezzogiorno passato. Il tempo che spiova , no?
In Rifugio, non c’è nessuno oltre a noi. C'è il rischio che non ci facciano nemmeno da mangiare invece impietositisi ci fanno sedere e ci portano il menu. Anche considerando che siamo sopra Cortina in un rifugio privato raggiungibile in seggiovia, i prezzi sono esageratamente alti. Per la modica cifra di 10 euro riusciamo a mangiare due canederli, un vero furto. Almeno siamo all’asciutto, non al caldo perché questi taccagni non ci pensano ad accendere la stufa.
Fuori, il tempo è sempre peggio. Giochiamo a carte per un paio d’ore e consultiamo una guida in tedesco ( quelle in italiano erano finite) sulle più belle ferrate delle dolomiti dove vediamo solo immagini scattate con il sole.
Stufi di star seduti , paghiamo il conto. Ci vestiamo e usciamo sotto la pioggia per tornare al rifugio Dibona. Lorenzo, sfodera un poncho che farebbe rabbrividire il direttore Adriano, ma Adriano non c’è e piove troppo per immortalarlo in una foto. Cercando di non scivolare, in pochissimo tempo arriviamo al Dibona dove ci aspetta una bella doccia calda.
Propongo una passeggiata nel bosco per aspettare la sera, ma tutti bocciano la mia proposta. Dopo la doccia, siamo ancora seduti , ma qui possiamo permetterci anche una birretta e poi troviamo un fantastico gioco per aspettare la cena :
jenga ! ( Questo gioco riscuoterà così successo che Lorenzo non esiterà a comprarne una scatola ad Arabba la settimana successiva. N.d.r.)

Cena favolosa al rifugio e alle 20 e 30 arriva anche Mauro da Padova mentre fuori continua a diluviare. Sperando che domani non piova e che faccia un po' più caldo, andiamo a dormire.

6 agosto, ore 6 e 30. Non piove e sembra esserci anche il sole. Solo qualche nuvola sulle cime più alte. Fa decisamente freddo e il baroametro segna ancora mal tempo in arrivo, ma noi siamo decisi.
Affronteremo la ferrata Lipella. Si può salire fino alla via di fuga alle tre dita in circa quattro ore e poi decidere lì se salire ancora oppure scendere.

Sul sentiero di avvicinamento incrociamo due escursionisti inglesi che vengono dal Lagazuoi e ci dicono che questta mattina lì ( 2800 metri) c'erano neve e ghiaccio. Siamo arrivati sotto le parteti e stiamo decidendo se metterci il casco o meno, che sentiamo un gran rumore di sassi che cadono dall'alto. I sassi non arrivano fino a noi ma la tensione sale. Ci mettiamo il casco e stiamo in silenzio per quindici minuti. All'attaco della ferrata siamo in ombra e fa molto freddo. Sbaglio cinque volte il nodo fettuccia per chiudermi l'imbrago. Non sono molto tranquilla perchè una parte di me sa che il buon senso avrebbe voluto che fossimo andati da un'altra parte, che la montagna è sempre lì, che non si può scherzare etc....Ma perchè ho fatto i corsi CAI? Queste cose è meglio farle inconsapevoli e a cuor leggero!

Le scale di ferro che portano alla galleria del castelletto sono bagnate e fredde. I miei guanti non sono impermeabili e mi ghiaccio subito le mani. La galleria è completamenente bagnata e per non scivolare è bene tenersi al cavo freddo. Ho dieci minuti di sofferenza pura da freddo. Le mani non le sento più e poi quando inizia a circolare il sangue, mi viene mal di stomaco e nausea. Tea e liquirizia mi salvano, ma la mia condizione psicologica è peggiorata.

Dopo mezz'ora usciamo dalla galleria e siamo ancora in ombra e soffia vento, ma tutto sommato sto meglio. La ferrata corre tutt'attorno a questo paretone gigante e verticale di roccia dolomia scura e bagnata. Cascate d'acqua scendono dall'alto proprio nei punti in cui si deve far cambio di fittone e ci laviamo in continuazione. Nella notte è nato anche il lago di Roches e dobbiamo guadarlo ( per fortuna Tabarez, previdente, aveva messo l'impearmibilizzante agli scarponi la settimana scorsa). Comunque non siamo i soli deficienti. Troviamo anche altra gente, tra cui due superman che hanno il set da ferrata ma che non lo usano per essere più veloci. I più defiicienti di tutti.

Dopo circa quattro ore arriviamo al bivio delle tre dita, qui si può salire alla cima o scendere verso il rif. Giussani, ma nel frattempo ha iniziato a nevicare, tira un bel po' di vento freddo e la cima è immersa nelle nuvole. I ramponi non ce li ha nessuno e la scelta è obbligata, si scende. Peccato, quasi mi sentivo a mio agio su questa parete umida e il mio fisico si era abituato al freddo (anche le mani).

Salutata la cima della Tofana di Roches, che non si vede, mi accorgo che siamo in un posto selvaggiamente meraviglioso. Siamo alle tre dita, sotto di noi la valle del Masarè e di fronte a noi la Tofana di Mezzo e la Tofana di Dentro imbiancate. Sta nevicando e ci mettiamo a cantare Jingle Bells.

Scendiamo verso il rifugio Giussani ed entriamo a scaldarci. Il rifugio è caldo e accogliente.

Dopo una pausa con torta scendiamo ancora più a valle saltando dentro un ghiaione e arriviamo al Dibona.

Per questa volta obbiettivo mancato, ma sono stati due giorni indimenticabili.
Aspetto proposte per andare a ritentare la cima!